Cerca

logo
RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
14/06/2018
Swing Out Sister
Kaleidoscope World
Musica leggera, si, ma con tanta sostanza dentro, a chi vi dice che va bene per i cocktails offrite loro un Vodka Martini. Forse capiranno.

Quando uscì Kaleidoscope World, gli Swing Out Sister forse erano coscienti di non poter ripetere il successo planetario di It's Better To Travel, e sicuramente non avrebbero immaginato che di lì a poco avrebbero dato nuovo fiato ad un certo tipo di pop che negli anni 80 era caduto colpevolmente nel dimenticatoio. Certe sonorità, certi artisti, Burt Bacharach e Morricone, Jimmy Webb e Dusty Springfield, sarebbero tornati di gran moda nel decennio successivo, complici altre band inglesi come ad esempio gli Stereolab o i Belle and Sebastian; onestà vorrebbe che il merito vada ascritto anche a Corinne Drewery e Andy Connell se questo è accaduto, i primi a crederci e a far tesoro della lezione dei maestri della melodia.

Ricordo che acquistai l'album dopo aver ascoltato il singolo "You On My Mind", che fortunatamente non scopiazzava il pur bello "Surrender" dell'album precedente, ma questo era solo l'antipasto, e già dalla seconda traccia, la memorabile "Where In The World", iniziava a ri-dischiudersi un mondo rimasto in soffitta per troppo tempo. 

Ma facciamo un po' di ordine. Gli SOS (acronimo con cui da adesso appellerò gli Swing Out Sister) arrivavano come detto dal successo mondiale di It's Better To Travel, in quel tempo in formazione a tre, comprendente il batterista Martin Jackson che lasciò la band durante le registrazioni di Kaleidoscope World. Già membro dei Magazine, formò la band insieme al tastierista Andy Connell, questi arrivato dagli A Certain Ratio, a cui si aggiunse poi Corinne Drewery, affascinante designer di moda nonché modella, a digiuno o quasi di musica se non per un provino da vocalist sostenuto per la band dei Working Week.

Se nel primo album la cifra stilistica del gruppo era un discreto melange di pop elettronico con una spruzzata di jazz, Kaleidoscope World è il trionfo del pop in bianco e nero formalmente vicino al jet set degli anni 60, dei film di Claude Lelouch e di Audrey Hepburn, e le canzoni ivi contenute sono orfane per la maggior parte dei suoni sintetizzati che allora spopolavano;  ci troverete invece massicce dosi di orchestra e fiati, in un connubio che anche grazie alla voce di Corinne ci fanno precipitare nel passato dando la stura a chi poi farà dell'ossessione per il mondo retro il proprio stile di vita. 

"Where In The World" dicevamo pocanzi. Posto come secondo brano del lato A è una canzone senza tempo che sarà da qui in poi uno dei punti di riferimento della band, un fiume di melodia che scorre impreziosito dalla chitarra acustica di Vini Reilly (qualcuno lo ricorda nei Durutti Column?) e dalla voce di Corinne (fateci caso, queste canzoni orecchiabili e all'apparenza semplici sono di una difficoltà enorme nel cantato). La coda del brano poi è sorprendente, quasi come un inserto che partendo dal solo di chitarra spagnoleggiante si dipana come una sorta di colonna sonora immaginaria all'apparenza slegata dal contesto ma che ne è la degna chiusura, come a indicarci su come sarà da ora in poi il mondo degli SOS.
Il filo comune con i maestri del genere è dato dalla presenza di Jimmy Webb agli arrangiamenti di "Precious Word" e "Forever Blue", altre due canzoni killer. In "Heart For Hire" è il mondo di Burt Bacharach a farla da padrone, "Tainted" e "Waiting Game" sono forse le due canzoni che più stonano nel contesto, quasi un favore fatto alle FM station di quel periodo, ma è solo un momento, con "Masquerade" e "Between Stranger" si ritorna in carreggiata, ma non solo: il gran finale è dato dalle strumentali "The Kaleidoscope Affair" e "Coney Island Man" dove si omaggia l'arte di Ennio Morricone, mentre il cerchio si chiude con la copertina del disco, in perfetto stile glamour retro, sia nell'immagine di Andy e Corinne, che nel logo dell'etichetta discografica, la "Fontana", che per l'occasione rispolverò il logo così come era negli anni sessanta.