Biopic convenzionale ma ben realizzato che cade a fagiolo in un periodo in cui la coda lunga del movimento Black Lives Matter riporta sotto i riflettori e al cinema le disparità e le ingiustizie alle quali i neri vanno incontro ancora oggi soprattutto in un paese profondamente razzista come quello degli Stati Uniti d'America. Il regista Shaka King, nato a New York da genitori immigrati e cresciuto a Brooklyn, è qui al suo primo lavoro di rilevanza internazionale (il suo esordio Newlyweeds è poco noto); King mette in scena la biografia di Fred Hampton, il presidente della sezione dell'Illinois delle Pantere Nere, produce Ryan Coogler, altro nome votato alla causa, regista di Black Panther della Marvel e di Creed - Nato per combattere. Costruzione classica da manuale bella e pronta per l'Academy, Judas and the black messiah raccoglie infatti sei candidature agli ultimi Oscar vincendone due, quello per il miglior attore non protagonista a Daniel Kaluuya e quello per la miglior canzone. Nonostante per sceneggiatura e regia il film non si distingua in modo particolare, la storia di Hampton e l'indignazione che il film è capace di riportare a galla rendono Judas and the black messiah meritevole della visione.
Fine degli anni 60 a Chicago. Bill O'Neal (Lakeith Stanfield) è un ladro d'auto che viene pizzicato, accusato di furto e, fatto ancor più grave, di essersi spacciato per un agente federale. Il vero agente dell'F.B.I. Roy Mitchell (Jesse Plemons), dopo aver paventato al ladruncolo una pena dura per le sue imputazioni, gli offre una via d'uscita: infiltrarsi nell'organizzazione locale delle Pantere Nere, il Black Panther Party, e riferire tutti i movimenti del loro leader, Fred Hampton (Daniel Kaluuya), un giovane con ideali marxisti ancora ferito dalle morti recenti di leader carismatici come Malcom X e Martin Luther King; il ragazzo ha una grande capacità dialettica e di aggregazione, riuscendo ad arrivare ai fratelli neri, alle gang di strada, ai bianchi impoveriti dal sistema, ai portoricani e a tutte le minoranze schiacciate dalla società dei bianchi ricchi e dalla violenza dei porci (le forze dell'ordine). Inizia così la nuova vita di quello che è il vero protagonista del film e il Giuda del titolo, i discorsi coinvolgenti di Hampton e le iniziative meritevoli dell'organizzazione - tipo sfamare i bambini poveri - fanno breccia anche su O'Neal che sotto il giogo della spada di Damocle tesa sulla sua testa dall'F.B.I. continua però a tradire e a passare informazioni ai tutori del (dis)ordine, tutta la vicenda coinvolgerà molte persone tra le quali la compagna di Hampton, Deborah Johnson (Dominique Fishback), come spesso accade quando al potere si lascia la corda troppo lunga gli eventi finiranno in tragedia.
Judas and the black messiah è uno di quei film dove la Storia è più grande dell'opera, l'episodio narrato ha una capacità di per sé sconfinata per catturare l'attenzione e coinvolgere il pubblico, si vince facile e Shaka King vince senza mettere in campo surplus di talento. Intendiamoci, Judas è un bel film che può contare su due attori praticamente coprotagonisti in ottima forma e che delineano due personaggi ai quali si resta avvinghiati, per motivi diversi, ma nella stessa misura. Ottima ricostruzione d'ambiente e nervoso che sale per le ingiustizie narrate (a prescindere dal fatto che Hampton fosse o meno un santo), spesso le questioni politiche e sociali che innescano rivendicazioni urgenti sono difficili da mantenere sul mero piano della dialettica verbale, ma uno Stato non può mai permettersi comportamenti criminali o antidemocratici (ops!). Coinvolgenti i dibattiti, i discorsi che Kaluuya declama ispirandosi agli storici esponenti del movimento per i neri, Malcolm X su tutti, rendono giustizia a un personaggio di primo piano per la lotta razziale finora dimenticato dal cinema e che qui trova almeno una piccola parte di giustizia mediatica mai concessagli prima, questo servirà a qualcosa? Lo speriamo vivamente ma con non troppo ottimismo.