Portato alla ribalta di recente da “Springtime in New York”: The Bootleg Series vol.16 1980 – 1985, "Jokerman", presente nella raccolta come alternate take, è un brano di Dylan che non ha mai avuto il successo che meriterebbe. Incluso nell’album Infidels del 1983 e pubblicato come secondo singolo, il brano, infatti, non entrò mai in classifica.
Dylan scrisse la canzone durante le sessioni di lavorazione per l'album negli studi Power Station di New York nell'aprile-maggio 1983, accompagnato da Mark Knopfler alla chitarra, Alan Clark alla tastiera, e Sly Dunbar & Robbie Shakespeare, membri del gruppo giamaicano Sly and Robbie, alla batteria e al basso.
Il Jokerman del titolo sarebbe Gesù Cristo, trattato come un buffone e impostore all’epoca del suo avvento. Siamo nel periodo della conversione, e della fascinazione cristiana di Dylan, quella che produsse una trilogia piuttosto controversa di album che fecero tremare il dylaniano classico, che vedeva scomparire in un attimo il menestrello di tante lotte civili e interiori. Si potrebbe azzardare, però, che, fuori dalla metafora cristiana, il Jokerman è Dylan stesso.
Nell’incedere accattivante di questo pezzo dal sapore reggae, e sorretto dalle chitarre del grande Mark, Dylan, infatti, non fa altro che passare in rassegna sé stesso e tutto ciò che fu la sua rappresentazione agli occhi della gente. Il menestrello, il salvatore, il ragazzo con la chitarra che poteva cambiare il mondo. Dylan si prende in giro, passando al setaccio il suo periodo “classico” e lo fa con il distacco dell’adulto che con un mezzo sorriso ripercorre le scorribande giovanili. E’ come se volesse portare leggerezza al suo mito, così gravoso, così pregno di significato.
Se è vero che gli eighties sono l’epoca del disimpegno, Bob decide di cavalcarli in questo pezzo. Si demistifica, si spoglia, si scrolla di dosso concettualizzazioni, definizioni, categorizzazioni, assunzioni di responsabilità, ruoli, e si ritrova ridotto alla propria essenza. Al semplice menestrello, leggero e giocoso. E poi quell’inserto di armonica finale, a ricordare che, pur in una veste nuova, non è cambiato affatto. Sublime.
Come sublime è il gioco dei suoi travestimenti, che gli consentono di sfuggire alla morbosità di chi vorrebbe cristallizzare uno spirito artistico libero come il suo. Senza perdere la sua matrice identitaria, mai. Il suo è un enigma. E amarlo significa davvero approcciarsi a esso, come fosse fede religiosa. "Jokerman" è, quindi, un po’ la sintesi e l’emblema della sua poetica musicale, sfuggente e sovrumana.