Sicuramente, i più, leggendo il titolo di questo libro, penseranno all’omonima canzone dei Traffic, nell’album John Barleycorn must die, del 1970, a sua volta ispirata ad una canzone popolare scozzese che, a partire dal ‘500, e in versioni differenti, racconta la maledizione del whisky e della birra. In effetti, come nella canzone, il protagonista del romanzo-autobiografia di London è il personaggio folkloristico, letteralmente John Chicco d’orzo, da cui si ricavano il whisky e la birra.
Pubblicato per la prima volta nel 1913, nel ripercorrere la propria vita, segnata dall’incontro con John Barleycorn a partire dalla primissima infanzia (“Avevo cinque anni la prima volta che mi ubriacai”), London scrive un libro sull’alcool e contro l’alcool, senza alcun moralismo o considerazioni di psicologia spicciola, ma basandosi sulla personale esperienza e arrivando alla conclusione che il bere sia un problema sociale, non individuale.
Pare che l’idea gli sia venuta al ritorno da un viaggio a New York nel 1912 dove aveva incontrato diverse attiviste del movimento per il suffragio femminile e aveva già maturato l’idea di esprimersi a favore del voto per le donne. Sempre in quell’occasione, però, lo scrittore, dopo un periodo di relativa sobrietà si ubriacò pesantemente al punto da decidere di rasarsi a zero, e rimase sbronzo per due giorni interi. Tornato a casa, anche per farsi perdonare dalla moglie, decise di scrivere John Barleycorn. Infatti, l’incipit è proprio incentrato sull’importanza di dare alle donne la possibilità di votare cosicchè, essendo probabilmente più sagge degli uomini, e sicuramente più sobrie, certamente avrebbero fatto qualcosa per porre dei limiti alla diffusione dell’alcool. Pare anche che, dopo quella volta, London non si ubriacò più e decise di contenere il suo “demone etilico”. Intanto, ne aveva parlato al mondo, e aveva presentato la sua idea sul perché John Barleycorn avesse tanta presa sugli uomini di ogni tipo e condizione sociale.
La sua tesi è semplice: si beve per “abitudine mentale” e questa abitudine “si coltiva in un terreno sociale”. In sostanza “Non c’è bevitore su un milione a cui piaccia bere da solo. Tutti i bevitori cominciano in compagnia”.
Al giovanissimo Jack London, l’alcool non piace; lui adora le caramelle d’orzo, eppure ovunque si trovi, John Barleycorn è in agguato, dappertutto ci sono i saloon, il regno di John Barleycorn, L’adolescente London ama la lettura ma non riesce a stare lontano da quei posti fantastici in cui si fanno incontri interessantissimi e non ci si annoia mai. L’avventura va a braccetto con John Barleycorn e, per vivere la prima, bisogna avere a che fare col secondo. Senza contare che bere whisky o birra è un dovere sociale: segna l’appartenenza agli uomini forti, quelli veri. Si accompagna peraltro a tutta una serie di rituali sociali fondamentali per avere un posto nel mondo. Per esempio, è fondamentale mostrare la propria resistenza bevendo il più possibile, e poi la propria generosità offrendo da bere agli altri, perché è così che si cementano i rapporti di affari, di lavoro, d’amicizia. “Per quanto tu dica di no, per quanto tu predichi no, non riuscirai ad impedire agli uomini, e ai giovani che si avvicinano alla virilità, di accostarsi a John Barleycorn, quando John Barleycorn è dovunque sinonimo di virilità e di audacia e di grandezza d’animo”.
Quando poi si comincia a bere regolarmente e lo si fa anche in solitudine, allora si è raggiunto un punto di non ritorno. E la cosa terribile è che le vittime del menzognero, infido, meschino John Barleycorn non sono mai le persone ordinarie, quanto quelle in gamba: “Il cielo mi salvi dai tipi che non sono in gamba (la parte maggiore del genere umano), i freddi di cuore e i freddi di testa, quelli che non fumano, non bevono, non bestemmiano, quelli che non fan nulla che sia coraggioso, rischioso, scottante, perché nella loro debole fibra mai è stato un fremito di vita che spinga a traboccare oltre i propri limiti e a osare. Questi non li incontri al saloon […] Sono troppo occupati a tenere i piedi all’asciutto, a serbare il battito del proprio cuore, a fare della propria esistenza squallida un successo della loro povertà di spirito”.
Tutto ciò London lo racconta con un’allegria e una vitalità che contrastano con la tragicità e serietà del tema di fondo e, tuttavia, proprio per questo, lo rafforzano.
Il libro è anche un racconto di avventure, avventure autobiografiche che ci restituiscono l’immagine di un London che realizza il sogno americano fra infinite contraddizioni: viaggiatore solitario, marinaio, pirata di ostriche, studente, operaio, lettore compulsivo, scrittore famoso. E sempre, in questo viaggio, lo insegue o lo accompagna John Barleycorn, all’inizio sotto forma di birrra di pessima qualità e vino a poco prezzo, poi, con l’arrivo del successo, di bottiglie pregiate e whisky sempre più raffinato. Ma la sostanza non cambia: London resta un bevitore che non ama bere, anzi: bere lo disgusta ma è ormai un habitus mentale e non ne può fare a meno anche se il corpo ne è disgustato.
In John Barleycorn, come in tutti i suoi scritti e nella sua vita, London non si nasconde mai, non cerca alibi né scusanti; col suo linguaggio immediato ed icastico, ci mostra l’euforia e il senso di onnipotenza e, allo stesso tempo, l’angoscia e la prostrazione a cui John Barleycorn può spingerci. Leggendo queste pagine, ogni volta che ci troveremo con un bicchiere di vino o di whisky o di birra o di qualsiasi altra bevanda alcolica, ci sembrerà di vederci accanto John Barleycorn in persona che ci guarda sogghignando e si fa beffe di noi.
Intendiamoci: con questa “autobiografia etilica”, London non ha creduto di poter scoraggiare i lettori dal bere (non ne aveva probabilmente nemmeno l’intenzione); semplicemente ha voluto mettere a nudo una banale quanto trascurata verità: John Barleycrn è il prezzo, uno dei tanti, che a molti tocca pagare per vivere: “In questo mondo non esistono noli gratuiti. Si paga secondo una regola ferrea, ciascuna forza con la relativa debolezza, ciascun alto con il basso che gli corrisponde, ogni fittizio momento divino con un tempo equivalente di meschinità da rettile”.
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Non so voi: io metto su i Traffic e mi faccio una birra (!)