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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
06/04/2025
Live Report
Joan As Police Woman, 04/04/2025, Angelo Mai, Roma
All’Angelo Mai prende l’avvio il tour solista di Joan as a Police Woman, l’artista statunitense che sfida i generi musicali per raccontare come verità e bellezza possano conservare la nostra umanità e salvarci dal dolore.

È una sera frizzante di una primavera improvvisata in una capitale che ha placato il suo rombo di motori e di ruote: con Gianluca, dopo essere scesi per una solitaria via Latina, ci inerpichiamo in uno degli ingressi dell’Angelo Mai.

Angelo Mai non è solo un collettivo o uno spazio occupato, è un organismo vivo, pulsante, un cuore anarchico e poetico incastonato nel caos metropolitano, un laboratorio instabile dove le arti si mescolano come colori su una tela impazzita. È un arcipelago umano di attori, musicisti, danzatori, attivisti, tecnici, visionari che lottano per una nuova idea di bellezza, un luogo dove non c'è gerarchia, solo un’energia comune che si rigenera a ogni incontro, a ogni creazione, a ogni battaglia condivisa.

Superiamo una fila di fan immersi in chiacchiere per ingannare l’attesa e veniamo accolti dalle caute indicazioni di Simone, il guru romano della fotografia musicale dal vivo, un professionista che ha ritratto nella sua carriera più di seicento fra cantanti e musicisti e sa bene come non indispettire gli artisti. Mentre ci mostra la posizione rigorosamente laterale riservata ai fotografi, rimiriamo il set minimale, un pianoforte e una chitarra elettrica, disposte su un piccolo palco illuminato da intense luci blu.

Ormai il pubblico comincia a invadere la sala, qualcuno comincia a fremere per il ritardo: il più impaziente di tutti è un ragazzino che non avrà più di dodici anni, è vestito di nero, ha le unghie smaltate e un grosso tatuaggio sulla mano. È solo uno dei tanti fan di tutte le età e di tutti i generi che cominciano ad affollare la sala, schiacciandoci contro il muro: molti che non riescono a trovare posto nella sala si accalcano nello spazio confinante, quello riservato alla mescita. Stasera il concerto è sold out: qualche curioso e i soliti annoiati più interessati alla birra che alla musica, ma la gran parte sono fan idolatranti impazienti di incensare la loro poetessa.

Ormai sono le dieci passate quando finalmente Joan Wasser fa il suo ingresso sul palco, alta e statuaria, avvolta da un candido abito che la fascia e ne sottolinea una bellezza intrepida e raffinata, scandita da tratti spigolosi e dagli occhi a mandorla che lanciano sguardi profondi al pubblico riverente. Una regina audace ma riservata, che, come tutte le regine, ha saputo creare la giusta attesa per suscitare il desiderio dei suoi adoratori.

 

Chi è Joan? Difficile definire questa sciamana del suono, sacerdotessa di un soul moderno che ha il cuore cucito alle corde di un violino e galleggia tra i generi come eterna outsider: mentre esplora il pop, viaggia tra jazz, soul, punk e sussurra le sue confidenze, racconta il suo animo come lo si confiderebbe a un amico o a un diario segreto. Inizia come violinista classica, ma la vita (e l’amore) la spingono ben oltre le partiture. Suona nei Dirty Three, accanto ad Antony and the Johnsons, si intreccia con Jeff Buckley e ne eredita la vertigine emotiva. Dopo il dolore, si reinventa: nasce Joan As Police Woman, progetto che mescola soul, rock, elettronica e una vena cantautorale cruda e raffinata. Da Real Life in poi, ogni album è un diario aperto, ogni canzone una confessione sussurrata tra coraggio e fragilità. Joan non segue il mainstream, lo sfida con eleganza, portando avanti una carriera fuori dai confini, fatta di collaborazioni luminose e scelte radicalmente personali.

È con grazia ritrosa che Joan si siede al piano e comincia ad intonare “With Hope In My Breath” una lirica introduzione alla serata che mette in risalto l’intensità emotiva e la tecnica impeccabile, costruendo una melodia complessa, quasi impervia, ma sempre appassionata. Joan prosegue con tre brani tratti dal suo ultimo album Lemons, Limes and Orchids (2024): la sognante “Warning Bell”, che disegna un’atmosfera sospesa, soffusa di minimalismo emotivo e “Full?Time Heist”, seducente brano dalle sonorità vagamente funky contrassegnato da un groove vellutato e ipnotico e conclude con “Remember the Voice” un’intensa ballata, un’ode all’intimità della voce e alla potenza struggente dei ricordi.

 

Joan si alza e imbraccia la chitarra, chiacchiera mentre aggiusta l’accordatura e canta qualche passato successo, cominciando da “To Be Loved” un brano che dipana con dolcezza e vulnerabilità un’accorata richiesta di affetto, “Tell me” un soul moderno e accattivante, che invoca chiarezza in una questione d’amore forse irrisolvibile. Torna al pianoforte e concedendosi l’aiuto di una batteria elettronica attacca la struggente “Started Off Free”, e prosegue con “Safe to Say” più intima e riflessiva, per passare poi a “Lemons, Limes and Orchids”, la title track del suo ultimo lavoro, una miscela sinestetica di immagini e profumi, una felice combinazione di sperimentazione e poesia.

Tra chitarra e pianoforte la serata prosegue con “Oh Joan”, una delicata confessione a se stessa che sfocia in un’elegante cover di “Guiltiness” di Bob Marley, per proseguire con la nostalgica “What Was It Like”, la giocosa sperimentazione di “Valid Jagger”, il misticismo fluido e graffiante di “I Was Everyone” sul cui refrain finale tutto il pubblico esplode in un controcanto affascinato per poi finalmente concludere con la raffinata “The Magic”, un vero e proprio inno alla trasformazione e all’incanto quotidiano ritmato da un accompagnamento di chitarra sommesso ma deciso. Non può mancare il bis, visto l’entusiasmo quasi mistico dei fan, che la riporta sulla scena per cantare due piccole gemme del suo passato ovvero la tormentata “Real Life” e la vagabonda insistenza di “The Ride”.

 

Quando si avvicina al banchetto dei suoi prodotti, Joan si concede alla firma degli autografi con una disponibilità appena scalfita da una comprensibile stanchezza. Poi, con ironia e con solido americano pragmatismo, invita i suoi fan a prendere tutto quello che possono del merchandise ordinatamente disposto sul tavolino: “del resto”, aggiunge sorridendo, “mica me lo farete riportare indietro?”.

Sciamiamo verso l’uscita e ci accodiamo ad una folla estatica, che ancora si sente addosso le note struggenti di questa vestale accurata e accorata, che per quasi due ore ci ha parlato di realismo e di speranza, di controllo e perdita, di tristezza e di amore, facendoci riscoprire l’importanza di rimanere umani e di tenerci stretto il nostro dolore, quello che ci costringe a prendere atto della nostra umanità, quello che può spingerci a creare un amore più grande. Lo ha fatto divertendoci ed estasiandoci, lo ha fatto cantando e suonando con naturalezza e gusto, cesellando le note in maniera consapevole, regalandoci una trepida malinconia ma anche la gioia raffinata di un eclettismo originale.

Ruba il palco anche quando non vuole la grande piccola Joan, strano dilemma tra vulnerabilità e potenza, una femminilità lucente, che riconferma la fragilità come forza creativa, narrando che l’amore è un esperimento infinito e che, in fondo, lo stesso vivere è un atto radicale di resistenza poetica.

 

 

Le foto della serata, a cura di Gianluca D'Alessandria