Matt Damon torna nei panni di Jason Bourne per il quinto capitolo della saga dedicata al personaggio creato da Robert Ludlum tra le pagine dei suoi romanzi. Archiviata la parentesi Legacy diretta da Gilroy e interpretata da Jeremy Renner nei panni di Aaron Cross, si torna alle origini riallacciando le fila tra passato recente e quello remoto di Bourne; Paul Greengrass riprende in mano un progetto che in verità non ha più molto da raccontare e che a conti fatti segue più le coordinate imposte da Gilroy con Legacy che non la narrazione davvero riuscita dei primi tre bellissimi episodi. Come lo stesso Damon aveva dichiarato anni prima di tornare sui suoi stessi passi, con la prima trilogia si erano probabilmente esaurite le potenzialità di un personaggio sul quale, dipanati i dubbi sul suo passato e sulla sua vera natura, non c'era forse modo di raccontare altro di interessante. Infatti questo Jason Bourne è un puro action capace di farsi guardare sempre con piacere ma dove la tensione e l'empatia che si provavano per il protagonista nei primi capitoli è ormai assente, resta presente la grande abilità di Greengrass di dosare ritmi e girare splendide sequenze d'azione con menzione particolare a un montaggio sempre dinamico capace di dare quel valore in più al prodotto che gli evita di precipitare nel calderone della medietà.
Torna per questo episodio il personaggio di Nicky Parsons (Julia Styles) presente nella trilogia iniziale, è proprio lei a mettere in moto una nuova caccia all'uomo hackerando da una postazione nascosta nella lontana Islanda i nuovi sporchi progetti della C.I.A., condensati nell'operazione Ironhand, insieme ad alcuni file relativi al coinvolgimento del padre di Jason Bourne (Matt Damon) nella vecchia operazione Treadstone alla quale proprio l'intervento di Bourne aveva posto fine; lo scopo di Nicky è quello di girare a Bourne le informazioni in modo che l'ex agente possa finalmente far pace con i demoni del suo passato. L'intrusione della Parsons viene però intercettata dall'analista informatico Heather Lee (Alicia Vikander) che mette al corrente della violazione alla sicurezza il direttore della C.I.A. Robert Dewey (Tommy Lee Jones) il quale manda ad Atene, luogo in cui si trova Bourne, un asset (killer della C.I.A. interpretato da Vincent Cassel) per eliminare la coppia e preservare la segretezza dell'operazione Ironhand che prevede l'invasione assoluta della privacy di tutti i cittadini collegati al motore di ricerca Excoon ideato dal programmatore Aaron Kallor (Riz Ahmed). Ovviamente uccidere Bourne si rivelerà tutt'altro che semplice, inoltre la Lee, dotata di forte personalità e ambizione, è convinta che sia più utile tentare di riportare Bourne in forza alla C.I.A. piuttosto che eliminarlo.
Almeno due ottime sequenze action scandiscono la narrazione: l'apertura ambientata durante i tumulti che coinvolsero la Grecia in occasione della crisi economica ad Atene e quella del pre-finale in auto durante la quale Bourne insegue l'asset tra le strade di Las Vegas, tutta la maestria da regista dinamico di Greengrass viene fuori in questi frangenti, aiutata e valorizzata dal montaggio ineccepibile di Christopher Rouse, è il ritmo a tenere in piedi un film che sui personaggi non ha più molto da dire, anche i nuovi ingressi sono caratteri monodimensionali fatta salva la Heather Lee di Alicia Vikander che lascia spazio a più di una ambiguità, finale che lascia aperta la porta a un eventuale ritorno che a questo punto nessuno credo reputi necessario. Jason Bourne non compromette la validità complessiva della saga, così come non lo faceva nemmeno Legacy, due film in tono minore che garantiscono comunque un buon intrattenimento, solo accennato il discorso attuale e interessante su web e privacy che non basta a innalzare il livello e ad aprire a riflessioni di sorta, ridda di location come di consueto e un Matt Damon quasi ritirato in sé stesso, invecchiato, ma sempre pronto a tornare in azione quando necessità chiama. Parte Extreme ways e si chiude un ciclo che ha regalato nel tempo parecchie soddisfazioni.