Formatisi a Berlino nel 2014 ad opera della cantante tedesca Johanna Sadonis, i Lucifer (dopo svariati cambi di formazione, l’odierna line up comprende il batterista Nicke Andersson, i chitarristi Martin Nordin e Linus Björklund e il bassista Harald Göthblad) sono giunti oggi al loro quarto album, pubblicato solo diciotto mesi dopo il precedente e acclamato III.
La band ha grande seguito in Germania e in Svezia, paese da cui provengono tutti i componenti della formazione, ad eccezione della Sadonis, mentre da noi restano oggetto di culto di poche schiere di appassionati. Peccato, perché i Lucifer meriterebbero davvero di essere scoperti, soprattutto da chi ama graffianti (e demoniache) sonorità retrò. I Lucifer, infatti, sono la rappresentazione moderna di tutto ciò che ha reso la musica rock e metal così sinistra mezzo secolo fa, un'epoca in cui persino il nome della band avrebbe scatenato l’ira di benpensanti e gruppi religiosi conservatori: musica da bandire e vinili da prendere a martellate.
Per questo quarto episodio, poi, il gruppo ha deciso di spingere ulteriormente sui richiami satanisti, a partire dalla sorprendente cover, in cui la cantante Johanna Sadonis, legata a un crocifisso, fissa con aria di sfida gli occhi di tutti quelli che la guardano. Un messaggio esplicito, anche se oggi decisamente meno inquietante di come sarebbe apparso negli anni ’70, che indica la via maestra intrapresa dalla band tedesco/svedese: hard rock dalle sonorità vintage, che guarda soprattutto alla discografia dei Black Sabbath e dei Blue Oyster Cult.
A confermarlo immediatamente, sono le tre tracce che aprono il disco, archetipo di un sound che, decenni fa, avrebbe sconvolto schiere di cristiani baciapile. "Archangel Of Death" è una canzone rock rombante, infusa di vapori sulfurei alla Sabbath, bilanciata con una sezione ritmica molto bluesy e attraversata da luciferini assoli di chitarra, "Wild Hearses" vede le chitarre diventare più cupe e sfocate, mentre l’inquietante scenario evoca il fantasma di “mad” Ozzy, e "Crucifix (I Burn For You)" pompa maggiormente sul ritmo e possiede un tiro diabolicamente orecchiabile.
Ed è proprio questa l’ulteriore peculiarità di un disco che riesce a essere avvincente anche grazie a soluzioni melodiche d’impatto immediato, che danno un tocco di orecchiabilità a tutte le tracce in scaletta.
Da qui in avanti, si percepiscono anche altre influenze della band, a partire dai Blue Oyster Cult (la splendida "Orion") e dai Fleetwood Mac (la contagiosa "Bring Me His Head"), in un gioco di rimandi che finisce per incuriosire l'ascoltatore più attento.
Tra gli high lights del disco, poi, si deve citare anche la portentosa "Cold As A Tombstone", trainata da suntuoso lavoro di Linus Björklund e del secondo chitarrista, Martin Nordin, che regalano al brano consistenza ma anche profondità, e la conturbante "Nightmare", in cui il pianoforte arricchisce le trame ossianiche e quasi prog di affascinanti sfumature melodiche.
Si potrebbe obbiettare che anche in questo quarto capitolo la band non si è discostata dal suono e dallo stile dei lavori precedenti, ma la forza propulsiva di queste canzoni compensa abbondantemente la mancanza di originalità. In fin dei conti il successo dei Lucifer risiede in un ben oliato, ma anche diretto e fresco, approccio all'heavy rock di un tempo. Non una rilettura particolarmente tecnica o stratificata, forse, ma il fatto che la loro musica piaccia alla gente da così tanto tempo, testimonia quanto i loro dischi riescano a essere sempre potenti e seducenti, e Lucifer IV ne è un altro esempio, forse il più lampante.