Credo non esista al momento un nome più bello di Italia 90 per una band. Evoca un immaginario nostalgico, soprattutto per i nostri connazionali, che in quell’incredibile mese tra giugno e luglio hanno celebrato la grandezza di un paese che stava per crollare definitivamente e ancora non lo sapeva, attraverso le gesta di una squadra costruita per vincere, che avrebbe meritato di vincere e che si è fermata quando il traguardo era vicinissimo. Ma anche per gli inglesi, questo nome non è privo di significato: per la loro squadra quel mondiale rappresentò il loro miglior risultato di sempre dopo la vittoria del 1966, un quarto posto che avrebbero eguagliato solo 18 anni più tardi in Russia. Nel 1990, oltretutto, i New Order realizzarono “World in Motion”, che divenne l’inno ufficiale della rappresentativa di Bobby Robson e che ancora oggi è un brano molto famoso in Gran Bretagna.
Diventa a questo punto sorprendente (o forse no, dipende dai punti di vista) che tale monicker sia stato scelto da quattro ragazzini di Brighton, trasferitisi in seguito a Londra per seguire i loro sogni da rockstar. È gente che non era ancora nata quando la loro squadra veniva eliminata ai rigori dalla Germania, poi vincitrice del torneo, e la televisione ci trasmetteva immagini eloquenti di inglesi ubriachi e in lacrime, nei pub e sugli spalti.
Poi viene chiesto loro se hanno pensato a tutto questo quando hanno scelto il nome, e rispondono che no, che volevano solo qualcosa di breve, chiaro e dal forte impatto. Vero o non, vero, abbiamo una certezza: se tutto andrà come deve andare, a breve Italia 90, nelle ricerche Google, indicherà soprattutto una delle band più interessanti della nuova scena britannica.
Ho letto un’intervista molto divertente dove dicevano di ispirarsi all’Idealismo tedesco e che la miglior definizione possibile per la loro band in tre parole sarebbe stata “Daniel Day-Lewis”. Giunti al secondo Ep (emblematicamente intitolato “Italia 90 III”), con due singoli pubblicati nel mezzo, affinano ancora di più le armi a loro disposizione e confezionano un prodotto che in soli 17 minuti e con 5 brani a disposizione, mette in campo il meglio del Post Punk 2.0 che tanto successo sta avendo in terra d’Albione negli ultimi anni. Fin troppo facile il paragone con gli Idles, dai quali riprendono anche la visione politica, per le ritmiche sostenute, il cantato da hooligan, sgraziato e declamato e l’atmosfera da pub di terza categoria che aleggia per tutto il tempo. Non ci sono tratti di originalità, il tutto suona esattamente come una delle tante band della nuova ondata, che siano Idles, Shame, Life o Fontaines D.C. Che quindi equivale a mettere in campo, tra i riferimenti del passato, nomi come Joy Division, PIL e Gang of Four. Ho l’impressione che, come ogni volta che un certo tipo di proposta conquista i favori del pubblico, nei prossimi tempi gli act del genere si moltiplicheranno, costringendoci a spericolati slalom per far fronte ad una qualità che per forza di cose potremo immaginare come altalenante.
Comunque non è il loro caso. Derivativi o meno, gli Italia 90 scrivono benissimo e spaccano a dovere. Sanno muoversi con disinvoltura tra brani carichi, dalla forte impostazione Punk (“Stroke City”, “An Episode”) ed altri costruiti su un ritmo più lento e sul contrasto tra arpeggi chitarristici e voce rabbiosa, senza tuttavia disdegnare efficaci crescendo (“Open Veins”, “Against the Wall”).
Ovviamente siamo agli inizi, la quarantina di minuti di musica prodotta dal loro esordio nel 2017 ad oggi è ancora un po’ troppo poco per poter esprimere un giudizio esaustivo. Resta che quanto prodotto fin qui rende gli Italia 90 degni di essere seguiti. Nell’attesa di aprile, quando arriveranno da noi, per un’unica data a Bologna. Accoglieteli con la maglia di Totò Schillaci.