E’ quasi inevitabile, per approcciarsi a questo disco, fare un accenno ai Living Colour, leggendaria metal band newyorkese, di cui si ricordano soprattutto le gesta fra la fine degli anni ’80 e l’inizio del decennio successivo, e il cui suono è stato seminale per numerosi gruppi nati successivamente. Un filotto di tre album in cinque anni (altri arriveranno successivamente a cadenze più dilatate), attraverso il quale i Living Colour crearono un suono meticcio (ai tempi si parlava di crossover), nel quale confluiva metal, hard rock, funky e tanta, tanta musica nera.
Di quella straordinaria macchina da guerra, di cui non possiamo non ricordare la super hit "Cult of Personality", Corey Glover era il pirotecnico cantante, un frontman, il cui straordinario carisma risultava appena sfocato dalla presenza nella line up di Vernon Reid, funambolico chitarrista dal retroterra jazz prestato al rock. Oggi, Glover, dopo l’avventura con i Disciples Of Verity (Pragmatic Sanction del 2020), torna più pimpante che mai con un nuovo progetto, questi Sonic Universe, un super gruppo composto anche dal chitarrista e produttore Mike Orlando (noto per la sua militanza negli Adrenaline Mob), il bassista Booker King e il batterista Taykwuan Jackson. Quattro musicisti con una storia e un background diversi tra loro, tutti dotati di grande tecnica e tutti vogliosi di divertirsi, mettendo al servizio delle dieci scintillanti canzoni in scaletta un solido bagaglio di esperienza e di svariate influenze.
Questo approccio leggero, di puro divertissement, si coglie immediatamente fin dal primo ascolto: la sensazione, pur nel contesto di un sognwriting ragionato e ispirato, è quella di assistere a una sorta di jam session, gli strumenti sbrigliati e le idee libere di fluire, circostanza che, talvolta, allunga il minutaggio dei singoli brani ben oltre i canonici standard.
Poco male, perché la proposta è tutta di prim’ordine. Glover non ha perso un grammo dello smalto dei bei tempi andati, la sua voce, capace di diverse sfumature, è ancora potente, e gli acuti spiccano spesso il volo per librarsi liberi nel cielo. La sezione ritmica è aggressiva e furibonda, martella all’occorrenza, e quando serve sbriglia la fantasia in tempi spezzati e in levare, mentre Mike Orlando è un’ira di Dio, forgia riff grintosi, e si abbandona ad assoli al fulmicotone, tecnici, rapidissimi e, soprattutto, fantasiosi. Virtuosismi, certo, ma mai ridondanti, nulla che appesantisca la dinamicità di un disco, in cui è il groove la vera forza propulsiva.
Chiamatelo crossover, alternative o funk metal, poco importa: in It Is What It Is non si fanno prigionieri, sia in quelle canzoni che sfoggiano devastanti riff che chiamano alla memoria Tom Morello e i suoi Rage Against The Machine (l’iniziale "I Am", la feroce "My Desire"), sia quando la band rallenta leggermente il passo (il funky blues dell’intensa "Whisper To A Scream") o quando partono assalti all’arma bianca, coltello fra i denti e il cuore che batte dalla parte dei Living Colour (la title track e "Higher"). Insomma, la tensione è sempre massimale e l’adrenalina alle stelle, grazie anche a una produzione tonitruante ma non bombastica.
Che il progetto sia destinato a durare nel tempo, è prematuro immaginarlo oggi; ciò che conta davvero, hic et nunc, è che i Sonic Universe siano entrati in scivolata nel panorama metal moderno, portando in dono una dose cospicua di vitalità e tecnica da fuoriclasse, e un disco che gli appassionati del genere ascolteranno alla consunzione.