Molti fan del metal nostrano potrebbero aver un po' dimenticato il nome Perseus, che manca nel mercato discografico dal 2016. Eppure, il roccioso quintetto si era fatto apprezzare e benvolere sia dagli ascoltatori che da musicisti e addetti ai lavori per i loro due album e per gli infuocati concerti.
Into The Silence colma questa assenza di otto anni e si vanta di un nuovo contratto con la valente Escape Music (casa di molte band eccellenti, soprattutto nell’hard rock melodico) e di parterre di ospiti vocali di tutto rispetto, che vanno ad arricchire ulteriormente le undici tracce presenti.
I Perseus sono un gruppo power metal formatosi nel 2011 a Brindisi, dalle ceneri di due gruppi locali, i progressive metallers Hastings e i Defenders of the Faith, tribute band devota ai Judas Priest. All'interno di un genere già ben esplorato, i Perseus si ritagliano un proprio spazio personale, ispirandosi alla vecchia scuola metal di band come i già citati Priest, Manowar e Queensryche, senza disdegnare influenze da band più moderne come Kamelot, Rhapsody Of Fire e Labyrinth.
La tradizione melodica italiana del bel canto e le belle melodie si mescolano con riff potenti, ma il suono si mostra anche più strutturato e raffinato, grazie all’apporto di chitarre acustiche e tastiere. Passione, sofferenza, gioia, amore, dannazione e redenzione sono i temi predominanti espressi nei testi. Nel 2011, dopo due demo autoprodotti, i Perseus firmano il loro primo contratto con la Nadìr Music e due anni dopo registrano il loro album di debutto dal titolo The Mystic Hands of Fate prodotto da Tommy Talamanca (Sadist). Il primo disco diede alla band la possibilità di aprire in concerto per band come Vision Divine, Queensryche e Hollow Haze.
Nel 2016 i Perseus pubblicano il loro secondo lavoro, A Tale Whispered in The Night (per Buil2Kill Records), che è stato presentato dal vivo a Roma, con Fabio Lione (cantante degli Angra ed ex dei Rhapsody OF Fire) sul palco come ospite speciale. Ottime recensioni e un tour con gli svedesi Civil War e i DragonhammeR furono ottimi risultati, bissati da un tour da headliner nel 2018 in Ungheria, Repubblica Ceca e Slovenia, conquistando così nuovi fan e un mercato diverso. Da quel momento si vocifera di un fatidico terzo album che però non vede la luce, mentre i tempi si allungano causa covid e nel 2022 si torna a parlare di lavori in corso per l’atteso ritorno discografico.
Ora possiamo dire che è valsa la pena aspettare, perché nulla viene lasciato al caso in Into The Silence, in una produzione che riesce ad esaltare sia la parte più heavy e veloce che quella più melodica e struggente. Ascoltiamo grandi assoli di chitarra solista alternati e resi eccitanti dal talento di Cristian Guzzo e Gabriele Pinto, parti di tastiere dosate e ben presenti ma senza essere invasive o troppo pompose. La prestazione vocale di Antonio Abate è sempre sicura ed emozionante, affiancata in quasi ogni brano dal contributo di pregiati ospiti, come Roberto Tiranti (Labyrinth), Francesco Cavalieri (Wind Rose), Marco Pastorino (Temperance, Serenity, Fallen Sanctuary), Damna (Elvenking) e le eccellenti voci femminili di Claudia Beltrame e Anja Irullo.
Into The Silence non dovrebbe essere un concept album ma sembra molto compatto e concentrato su liriche che, oltre al loro substrato epico mostrano un’attitudine positiva e che descrive un viaggio di “resilienza e trionfo, come nella fulminante title track, onorata da una duplice ispiratissima performance vocale del titolare Abate e del glorioso ospite Tiranti.
Chi si attende originalità e rivoluzione sonora di certo non amerà un disco che non inventa nulla ma lo fa benissimo, sia nelle parti più classicamente power metal che in gioielli melodici come “The Picture of My Time” e la power ballad “I Believe in Love”, dove si alternano testi in inglesi e parti in italiano, esperimento che viene ripetuto con un buon successo in altri episodi, fino al culmine di “Il Labirinto Delle Ombre”, dove sembra di sentire una versione leggermente più rock dei New Trolls, in un tripudio sinfonico di grande effetto cinematico. Epic e folk metal si incontrano gioiosamente in “The Kingdom”, con il contributo esemplare della ruggente voce di Francesco Cavalieri, mentre in “Twilight” sembra di sentire i Manowar più fieri e anthemici.
In conclusione, il ritorno dei Perseus è classico quanto sontuoso, alla faccia di dischi più pubblicizzati e “pompati”, in un album dove tecnica, buon gusto, energia e cuore sono i grandi attori protagonisti di uno spettacolo grandioso e intenso come pochi.