Accantonato temporaneamente il lavoro con la casa madre (Durand Jones And The Indications), a tre anni di distanza dal suo debutto solista acclamato dalla critica, il polistrumentista Aaron Frazer torna con un nuovo album dal titolo Into The Blue.
Se la scena soul moderna pullula di musicisti che “rubano” a mani basse dalla ricca storia del genere, Frazer ha il merito, invece, di fondere i tropi del soul con una visione più moderna ed eterogenea, che lo rende molto meno classico e, per certi versi, più fascinoso. Intendiamoci, il musicista americano non rinnega il passato, abbracciando momenti di puro soul, tratteggiando armonie vertiginose e melodie d’amore spacca cuore, ma attraverso il suo acrobatico falsetto, trasforma il considerevole bagaglio di influenze in qualcosa di meno ovvio e più sperimentale, prendendo le distanze sia dal suo precedente lavoro che dal retro soul della band di provenienza.
In tal senso, il disco suona eterogeneo ed esplora nuovi territori, ma è evidente che anche nei suoi momenti maggiormente sperimentali, il cuore di Frazer resta ostinatamente radicato nel soul. Da un lato, dunque, sfoggia con orgoglio le sue influenze classiche, dall’altro, cerca di superare i limiti di genere, per vedere quello che lo stesso potrebbe diventare attraverso un audace modernità. Frazer, in buona sostanza, è riuscito a trovare una intrigante via di mezzo tra il rendere omaggio alla storia e il tentativo di alterarla completamente.
Per raggiungere questo obiettivo, ha arruolato, come co-produttore dell’album, Alex Goose, noto per i suoi campionamenti e le collaborazioni con artisti hip-hop come Freddie Gibbs, Madlib e Brockhampton. Il risultato è un album che miscela con coraggio soul, psichedelia, spaghetti western, disco, gospel e hip-hop, restando in bilico sul confine che divide passato e presente, con l’intento però di poggiare il piede nell’area più moderna del genere. Così, diverse canzoni includono campionamenti e ritmiche influenzate dall'hip-hop, e sono punteggiate da sottili tocchi elettronici.
Ne deriva una scaletta è un po’ meno organica rispetto al suo lavoro precedente, ma i frequenti azzardi aprono a una gamma più ampia di suoni, che variano da traccia a traccia. Ciò potrebbe far storcere il naso ai fan della prima, ma è senz’altro ammirevole il tentativo di Frazer di evitare la ripetizione di clichè, che a lungo andare diventerebbero indigesti.
L’album si apre con l’orecchiabile mid tempo di "Thinking Of You", perfetta fotografia del nuovo corso, e si sviluppa attraverso momenti ad alto tasso energetico, come "Payback", che cita gli Outkast, eleganti tropicalismi ("Dime", con la cantante cilena Cancamusa), evocative ballate western (la title track), trascinanti groove funky ("Easy To Love") e brani emotivamente intensi, come la struggente e sognante "The Fool", avvolta in vapori jazzy.
Non tutte le canzoni in scaletta sono memorabili, e si potrebbe affermare, almeno ai primi ascolti, che Into The Blue suoni un poco disunito e incoerente. La sensazione, però, viene lentamente meno quando si coglie quella che è la visione d’insieme che dà vita al disco, e cioè la volontà di scrivere brani che sembrino molto più personali di quelli pubblicati finora. In tal senso, Into The Blue esprime tutta l’ambizione di Frazer nel voler ridefinire il panorama soul moderno: un percorso lungo e accidentato, di cui questo nuovo lavoro è un abbrivio riuscito, ma, ovviamente, non definitivo.