Non molto conosciuta alle nostre latitudini, Liela Moss è la frontwoman della rock band dei The Duke Spirit (per ora in stand by), e ha inanellato collaborazioni importanti sia con Nick Cave che con gli Unkle, solo per citarne qualcuna. Internal Working Model è il suo terzo album da solista, e segue My Name Is Safe In Your Mouth del 2018 e l'acclamato Who The Power del 2020, che era un disco compatto, solido e vibrante, punteggiato di qualche ottima canzone, a cui, però, mancava l’intuizione da capogiro, e nel complesso qualche slancio di originalità, pur palesando una produzione quanto mai coesa, e sorreggendosi soprattutto sulla splendida voce della Moss, l’arma vincente che salvava la scaletta dal rischio di cadere nell’anonimato di una certa prevedibilità di fondo.
Internal Working Model registra, invece, un importante passo in avanti nella scrittura e nel suono, è un lavoro di ottima fattura, che esibisce ospiti d'onore del livello di Jehnny Beth, Gary Numan e Dhani Harrison, e sonorità che, pur mettendo al centro della scena i sintetizzatori, abbracciano anche una varietà di influenze folk, pop e orchestrali, che rendono più variegato lo slancio vintage e decisamente distopico con cui la Moss disegna i suoi anni ’80 nell’attuale cornice del 2023.
Internal Working Model è così un album che sarà gradito a chi non smette di collocare il proprio orecchio fra i suoni di quel decennio, pur riuscendo a evitare piatte riproposizioni e suggerendo interessanti spunti a chiunque sia disposto a prendersi il tempo per ascoltare e assorbire le suggestive trame attraverso cui si articola la scaletta. I cui intenti, a concedere un po’ di attenzione alle liriche dell’album, sono chiaramente socio-politici, e nascono dall’idea, decisamente utopica, di una possibile nuova comunità di persone, che si allontani dalla cultura centralizzata e da coloro che si avvantaggiano dello status quo, pensando agli esseri umani come meri esecutori della loro agenda. La volontà è quella di sbeffeggiare e aggredire il capitalismo della sorveglianza e a stimolare l’impulso a distruggere il vecchio, per poi ristrutturare.
La traccia di apertura "Empathy Files" prepara la scena per ciò che verrà: la Moss veste i panni di una novella Kate Bush, la voce possiede un tocco sinistro, le ritmiche sono trascinanti, e gli anni ’80 sono proprio a portata di mano, come nella successiva "WOO (No-one's Awake)", un brano dal suono più pieno, le percussioni tintinnanti e una solida linea di basso che aggiungono colore ai sintetizzatori vorticosi. È quasi pop in alcuni punti, specialmente quando entrano in gioco gli effetti degli archi, ma l'atmosfera oscura delle fondamenta della canzone serve come un costante promemoria del mood dell’album (e dei nostri tempi bui).
Nel singolo "Vanishing Shadows" è ospite Gary Numan e il sigillo sugli anni ’80 è posto definitivamente per uno dei brani più pop (e più contagiosi) del disco, mentre in "The Wall From the Floor", la voce della Moss si fa quasi sofferente per una ballata di grande potenza emotiva.
Jehnny Beth compare come ospite in "Ache in the Middle", un altro dei momenti salienti dell'album, che regala un interplay vocale da brividi sopra un tappeto sonoro ricco e coinvolgente, attraversato da un intenso pathos malinconico. Se "Come and Find Me" si sviluppa su una ritmica martellante, "New Day" si addentra, invece, in territori ipnagogici e trasognati con risultati deliziosi.
L'album volge al termine con "Welcome To It", una canzone che è spinta da un ritmo irresistibile e primitivo, ed è, forse, il brano più facilmente accessibile dell'album. Il terzo ospite di Internal Working Model, Dhani Harrison, si unisce alla Moss per la traccia di chiusura, "Love As Hard As You Can", il cui messaggio, quasi hippy, è un invito ad amare, a prendersi cura delle persone, a trasformare la rabbia in passione e a spogliarsi del denaro e di tutto ciò che rende avidi. E, a sostegno del messaggio, il suono si gonfia, rispetto alle sonorità più contenute della restante scaletta, con pianoforte, basso pulsante, percussioni ed effetti di violino che entrano tutti nel mix. La degna conclusione di un album affascinante, con cui la Moss prende decisamente in mano il suo songwriting, dandogli in modo più deciso una connotazione personale, che precedentemente era un po' mancata.