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REVIEWSLE RECENSIONI
11/03/2022
Country Feedback
Intermission
Intermission è il secondo full lenght di Country Feedback, aka Antonio Tortorello, musicista del frusinate attivo dagli anni Novanta e fondatore dei 7 Training Days. L’album, scritto e arrangiato totalmente da Country Feedback, si avvale però della collaborazione in fase di registrazione di alcuni suoi fidati musicisti.

Antonio è prima di tutto un bassista e il suo progetto solista è proprio l’emanazione del quid espressivo delle 4 corde. Un disco pensato, scritto, composto a partire da marzo 2020 quando lo scoppio della pandemia gli ha dato, forse, più tempo per mettere a fuoco la vena creativa precedentemente sgorgata in Season Premiere. Con la world music nel cuore e con un occhio sempre teso alla sezione ritmica, ha realizzato il secondo capitolo del suo progetto, che è più che mai espressione peculiare del suo modo di intendere la musica.

Crucialità per basso, batteria, synth e fiati, chitarre in secondo piano, o comunque meno centrali rispetto al primo album, in un percorso evolutivo da un disco più genericamente guitar-based ad uno più genuinamente “personale”. Il parallelo che giunge alla mente è quello con Battisti, che verso la fine degli anni Settanta passa dall’impostazione beat-pop classica di Mogol alle sonorità del basso del disco La Batteria, Il Contrabbasso, eccetera, cambiando da lì a poco anche paroliere.

I 9 brani di cui si compone Intermission grondano ritmo e groove, con i dovuti riferimenti all’alternative rock degli anni Novanta che lo ha cresciuto, disegnando un cammino con approdo ad una maturità compositiva fatta soprattutto di gusto personale. Nell’architettura del disco non si ravvisano passaggi di tono evidenti fra un brano e l’altro, c’è una omogeneità sostanziale, declinata magari da un’alternanza fra un mood più cupo e uno più solare.

Dalla impegnata e micidiale “Enemy” passando per la giocosa sonorità di “Not Quite My Tempo”, per la ballad nostalgica di “Music Is A Mirror” fino a “Nothing’s Really Changed”, che non concede distrazioni tanto è stimolante il suo sound. Apertura e chiusura hanno una certa specularità, da un lato la potente “Orson Welles”, una dura riflessione sui media, dall’altro la più rilassante, almeno nei suoni, “The Shape Of Things To Come” che con il suo sottile arpeggio ci fa congedare dal battito serrato che facciamo nostro all’ascolto di questo heartbeating disco.