Se c'è un contributo che “Infedele” potrà offrire da qui in avanti al nostro panorama musicale è che in quel grande calderone che è “l’Indie italiano” (mi vengono le convulsioni ogni volta che uso questo termine, giuro) esistono eccome dei distinguo di tipo qualitativo. Si è discusso molto ultimamente: lo hanno fatto firme importanti come Michele Monina e lo hanno fatto perfetti sconosciuti su Facebook. Esiste un valore effettivo per quanto riguarda questi nuovi act che stanno spuntando un po' dovunque come funghi e che, per lo meno negli ultimi anni, stanno anche ricevendo una certa attenzione mediatica da parte dei circuiti che si sono sempre occupati del cosiddetto “mainstream”? O, per dirla in un altro modo: che Levante faccia il giudice ad X Factor o che Tommaso Paradiso appaia praticamente ovunque ci sia un luogo dove apparire, è un fenomeno che ha a che fare anche con una certa qualità della proposta, oppure si sta semplicemente cavalcando l’onda facile dell’appeal modaiolo?
Come ho detto prima, bisogna distinguere. E il grande merito del nuovo disco di Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, è proprio quello di mettere dei paletti ben definiti. Perché certo, un conto è la pochezza compositiva ed esecutiva di gente come Ex Otago, Gazzelle, Canova, Gomma e altri nomi affini; un altro conto è il mestiere e il paraculismo infinito di un Tommaso Paradiso, di un Calcutta e di un Niccolò Contessa (che sono bravissimi a fare quello che fanno anche se poi magari a tanti non piace). Uno come Colapesce, in tutto questo, sta su un altro pianeta.
Non che non lo sapessimo già, ovviamente. “Egomostro”, uscito quasi tre anni fa, aveva mostrato un livello di scrittura e di consapevolezza dei propri mezzi davvero disarmante ma non è che i due precedenti fossero brutti, anzi.
“Infedele”,però, è un’altra cosa. Partiamo dal team dei produttori, che già dice molto: Mario Conte è ancora della partita ma questa volta è in compagnia di Jacopo Incani, meglio conosciuto come Iosonouncane; per chi scrive, si tratta di uno dei più grandi talenti della nuova generazione dei nostri musicisti e “Die” uno di quei lavori giganteschi che hanno cambiato totalmente i parametri del comporre musica in Italia, anche se non se ne sono accorti in tantissimi.
I tre hanno unito le forze e a partire da un lotto di canzoni di qualità altissima, hanno confezionato una veste sonora che capita raramente di sentire in un disco prodotto nel nostro paese. “Infedele” è, da qualunque parte lo si giri, un disco perfetto. Innanzitutto perché dura poco: otto canzoni per trenta minuti rappresentano una formula snella e assolutamente vincente, soprattutto in questi tempi in cui si ascolta di tutto e allo stesso tempo non si ascolta niente. C'erano venti pezzi su cui lavorare, ha detto Lorenzo, ma è finita che hanno messo quelli che sembrava giusto mettere. Che è un discorso di grande umiltà, oltre che di grande intelligenza.
Ci sono otto brani, quindi, e non c'è una sola nota che sia fuori posto. Se la perfezione ha a che fare con la dimensione umana, allora questo disco è perfetto, poche storie.
E poi c'è il fattore varietà. In mezz’ora succede di tutto, ogni canzone è un mondo a sé, ci si spinge molto in là nel processo di ricerca ed esplorazione sonora ma allo stesso tempo ciò non va a discapito dell’omogeneità complessiva. Si parte con “Pantalica”, dove la forma canzone viene scomposta al servizio di un brano epico e maestoso, in cui si respira anche un po' dell’atmosfera etnica che ammantava “Die”, e con un finale arricchito da un solo di sax ad opera di Gaetano Santoro che trasforma tutto in chiave Free Jazz. Pantalica è una necropoli vicino a Siracusa, un luogo dove Lorenzo è cresciuto e che tuttora fa parte della sua vita. E in qualche modo c'entra col titolo del disco: che cosa significa essere infedele e, allo stesso tempo, essere legati alla terra, ai ritmi ancestrali di una civiltà che ha provato, anche confusamente, a ricercare il senso dell’esistenza?
È un inizio in qualche modo spiazzante, un modo potentissimo per entrare nel cuore del discorso, e ci vuole un po' a mettersi nell’ottica che non sarà un viaggio semplice. Immediatamente dopo però, si ricorre a formule più convenzionali, alla lineare scrittura Pop che è il marchio di fabbrica di Colapesce sin dagli esordi, e qui si toccano vette per cui l’aggettivo “trascendentale” non è iperbolico. I singoli “Ti attraverso” e “Totale”, sono due brani clamorosi dove melodia, struttura, arrangiamento e produzione si combinano a meraviglia. Difficile, quest’anno, trovare altre cose che abbiano questa capacità di penetrazione. Leggere ma nello stesso tempo profondissime. Se questo fosse l’Indie italiano, allora l’Indie italiano sarebbe una cosa meravigliosa. Ma siamo semplicemente dalle parti del talento, quello purissimo, senza etichette. E ci dispiace per Luca Carboni, perché se “Totale” fosse davvero andata a lui com’era previsto all’inizio… beh, è uno di quei pezzi che potrebbe svoltare da solo la carriera di un artista.
“Vasco De Gama” si muove leggera e quasi sognante, con una chitarra acustica un po' spagnola e un cantato che disegna sottili arabeschi che parlano di navigazione come metafora sessuale. Un omaggio ad un grande personaggio storico ma anche una canzone d’amore carnale e sui generis.
Poi c'è la romantica delicatezza di “Decadenza e panna”, la cui acustica minimalità contrasta ma non stona con la stratificazione e l’iper produzione delle tracce precedenti.
“Maometto a Milano” si muove su un beat irresistibile, con suggestioni Electro Funk, ironizzando simpaticamente su una certa cultura edonistica che ricorre ad immagini religiose per darsi una parvenza di serietà ma che mostra in realtà tutta la propria pochezza. Occorre trovare una dimensione più vera, occorre capire per che cosa realmente si possa vivere. Perché definirsi semplicemente “infedeli” non basta: bisogna anche scegliere qualcuno o qualcosa a cui dare la nostra fedeltà. Avevano forse più ragione gli uomini di Pantalica, che costruivano tombe per affermare che la vita non finisce dove termina la vita? È un tema complesso, è giusto che un disco provochi ma non che dia risposte.
“Compleanno” è senza dubbio la traccia più spiazzante dell’intero lavoro, col suo crescendo elettronico che sfocia in un ritmo quasi House, la classica struttura strofa-ritornello disgregata per lasciare spazio ad uno sviluppo più imprevedibile e più figlio della Disco Music che della musica leggera. La chiusura è poi quanto di più bello possa esserci: “Sospesi” è un’altra ballata acustica (stavolta con pianoforte e batteria) semplice e disincantata, un inno alla vita e al prendersi i propri spazi; non per fuggire dalla realtà ma per poter entrarci dentro con ancora più verità (“Staremo sospesi dal 20 al 28 dicembre, fanculo le feste, i regali, i cenoni, i panettoni. Da 120 anni non ho più dei giorni vacanti e adesso che tutti si fermano per rivedersi, noi siamo sommersi. E il lasso di tempo in cui non lavoro mi dedico a te, ma a dirla tutta lo faccio soltanto per me.”).
Un disco senza tempo e dentro il proprio tempo. Un utilizzo del linguaggio del Pop odierno per andare a creare qualcosa che trascenda ogni linguaggio. L’opera di un artista la cui grandezza, fino ad ora una promessa concreta e auspicabile, si è ora rivelata in pieno. Da ascoltare. Senza nessuna remora.