È fuor di dubbio che Spielberg sappia il fatto suo e che il Cinema debba moltissimo a questo autore, nella fattispecie non posso nascondere che con i primi tre film della saga di Indy qualche cedimento io l'abbia accusato (cosa che è accaduta anche sul finale di questo quarto capitolo). Curioso a pochi giorni dalla visione de L'ascesa di Skywalker ritrovare ancora una volta il buon Harrison Ford, ormai invecchiato, vestire i panni di uno dei suoi personaggi più iconici, in fin dei conti (anche se questo film è già di dieci anni fa) si può dire che il ragazzo ancora "tiene botta".
Fatto questo preambolo solo per chiarire che il film non l'ho guardato con gli occhi del fan adorante, si può facilmente affermare come Il regno del teschio di cristallo soddisfi tutte le caratteristiche per essere considerato un pezzo riuscito nella mitologia del professor Jones. Spielberg lavora con un mix di avventura, azione e umorismo che richiede da parte dello spettatore un livello di sospensione d'incredulità forse mai esatto in precedenza, in diversi momenti l'indole del film è quasi cartoonesca, caratteristica questa rafforzata dalla presenza della Dottoressa Irina Spalko interpretata da Cate Blanchett, una sorta di ricercatrice pazza sovietica ma con look da nazi e un piglio del tutto caricaturale, personaggio che sembra uscito da un fumettaccio pulp dei tempi andati. La continuità è garantita invece da Karen Allen nei panni di Marion Ravenwood, già partner di Ford ne I predatori dell'arca perduta, sicuramente un gradito ritorno per tutti i fan di Indiana Jones. Interessante il salto temporale in avanti, dall'ultimo film sono passati quasi vent'anni, gli attori sono invecchiati, la narrazione si sposta quindi negli anni 50. Proprio la ricostruzione d'ambiente dei 50, il college dove Jones insegna, il paese che c'è attorno, i costumi, le auto d'epoca, conferiscono un tocco di novità alla saga e offrono un piacere in più per gli occhi, così come intriganti sono tutte le ricostruzioni dei vari set che richiamano un modo artigianale di concepire la scena, sul versante scenografico personalmente ho molto apprezzato questo quarto capitolo della saga nel quale traspare un amore puro per un Cinema che sta tendendo a scomparire, stiamo sempre parlando di Spielberg e delle maestranze da lui scelte, in particolare lo scenografo Dyas che ha dimostrato talento anche in altre produzioni (Passengers, Inception). Scontata la riuscita della colonna sonora, il tema portante è bello che pronto, nelle mani di Williams il gioco è fatto.
Per i contenuti si guarda a diverse teorie note e argomentate dall'archeologia misteriosa, argomenti spesso trattati anche da Alfredo Castelli e che ben conoscono i fan di Martin Mystère, personaggio che si potrebbe considerare collega di Indiana Jones per più d'un motivo. Si fa cenno a come gli antichi egizi avessero conoscenze e credenze comuni con i popoli del Sud America (continente non ancora scoperto all'epoca degli Egizi), serpeggia la teoria della presenza extraterrestre a influenzare le antiche civiltà terrestri, ma soprattutto c'è la presenza dei teschi di cristallo, reperti realmente esistenti (non proprio come quelli del film) sulla cui origine persistono diversi dubbi. Con questi elementi si imbastisce una trama che schiera in campo nazisti, eruditi fuori di senno (John Hurt), un potenziale successore per il nostro protagonista (Shia LaBeouf, ma Spielberg sul finale sembra dirci che di Indy ce ne potrà essere sempre e solo uno), teorie fantarcheologiche, l'Area 51, bombe nucleari e ovviamente uno staffile e un cappello.
Cinema dello spettacolo duro e puro, chi ha amato Indy negli Ottanta avrà amato anche questo film che non sposta di una virgola il discorso intrapreso da Spielberg decenni orsono, un prodotto onesto che seppur non mi abbia entusiasmato sembra avere più cuore e calore di tanti Ready player one più moderni.