Folake Oladun canta e suona la chitarra contemporaneamente con un’indipendenza tra voce e mani che ha dell’incredibile, il tutto facendo del funky. Questa è la prima cosa che si nota vedendo gli Hit-Kunle dal vivo. Ascoltando invece “In the pot”, album d’esordio registrato in studio e pubblicato da Bello Records, c’è tutto il tempo per sezionare il loro suono lasciando da parte la sorprendente tecnica della cantante italo-nigeriana e fare le dovute valutazioni. Anzi, prima di lasciarvi trascinare dalla musica, provate a fare un gioco. Chiudete gli occhi e cercate di immaginare i loro pezzi cantanti da David Byrne, così, come esperimento, senza togliere nulla alla voce femminile che è poi la ciliegina sulla torta della macchina da groove che suona sotto. Questo però vi convincerà che siamo nei paraggi delle contaminazioni tra i Talking Heads e la world music, un genere - quello di “Remain in light” per intenderci - che per gli Hit-Kunle assume la definizione di tropical rock.
Il che suona strano, come suonano molto particolari gli Hit-Kunle, del resto, perché le coordinate geografiche sono quelle del profondo nord-est, più precisamente Padova, una zona che, da come ci viene spesso presentata in programmi tv come “Dalla vostra parte” o da certi episodi di cronaca di provincia, di melting pot afro-veneti probabilmente farebbe volentieri a meno. Ma, per fortuna, ci pensa l’armonia musicale a sopperire alle lacune dell’armonia sociale, lo cantavano persino Paul McCartney e Stevie Wonder qualche tempo fa. Ed è così che nasce il progetto Hit-Kunle, un trio che comprende, oltre a Folake Oladun, autrice dei brani oltre che cantante e chitarrista, anche il batterista Marco Mason e Massimiliano Vio al basso.
“In The Pot” si apre con il singolo (presente anche in versione video) “May I Have Some?”, un assaggio degli intrecci tra chitarra e basso di cui l’album è permeato, qui su un tappeto ritmico di batteria e percussioni incredibilmente trascinante, seguito da “Acid fruit”, sullo stesso registro ma con trovate di arrangiamento che ricordano i Vampire Weekend. Per trovare la stessa atmosfera occorre passare a “Bells” e al super-funk di “Share Your Love”, mentre “Slowdown” - un vero e proprio rallentamento - e “Wildcat” danno ampio spazio alla talentuosissima vocalità di Folake Oladun. C’è poi anche spazio per qualche richiamo al post-punk in chiave solare con la tiratissima “Colours”, forse il brano più convincente del disco in quanto efficace sintesi delle diverse ispirazioni della band, rimescolate con una freschezza davvero rara. Non manca la vena blues di “He Was So Sad” e la rumorosissima chiusura di “Pleasing Vice”, ricca di spunti che lasciano intendere la voglia e l’entusiasmo di questa giovanissima realtà.
Gli Hit-Kunle sono davvero una bella sorpresa. Con “In the pot” si propongono fuori dal mainstream dell’indie per tentare un approccio di maggior respiro con uno stile genuino e una personalità artistica a tratti ancora grezza ma già frutto di idee ben chiare. Suoni scarni, ritmiche sulle quali è impossibile star fermi, una voce incantevole e uno stile compositivo originalissimo. Per essere un inizio, c’è veramente già tanto.