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REVIEWSLE RECENSIONI
21/05/2019
The Cranberries
In The End
Chi temeva le solite speculazioni necrofile a fini commerciali, può tirare un sospiro di sollievo: le canzoni in scaletta sono tutte decisamente buone, alcune davvero bellissime

A poco più di un anno dalla scomparsa di Dolores O’Riordan, esce In The End, capitolo finale di una carriera che, al lordo del lungo iato intercorso tra il 2003 e il 2009, è durata quasi trent’anni. Un disco, ovviamente postumo (almeno, rispetto al decesso della cantante e leader della band irlandese), ma non per questo prescindibile; anzi, In The End è probabilmente la miglior realizzazione dai tempi, ormai lontanissimi, di To The Faithfull Departed (1996).

Chi temeva le solite speculazioni necrofile a fini commerciali, può tirare un sospiro di sollievo: le canzoni in scaletta sono tutte decisamente buone, alcune davvero bellissime. Nessuna profanazione, dunque, né assemblaggi di scarti o di incompiuti che avrebbero potuto ledere alla memoria di una delle artiste (e delle band) più amate degli anni novanta. Questo disco, semmai, suona come un canto del cigno, un epitaffio con cui rendere omaggio a Dolores e ricordarla con la qualità di un lavoro iniziato nel 2017 e, poi, portato a termine solo dai tre membri superstiti con l’aiuto di Stephen Street, che già in passato aveva lavorato con il gruppo, contribuendo non poco al suo successo (fra gli altri, No Need To Argue del 1994).

Il risultato finale è davvero di livello. Se da un lato, c’è il rammarico di non sapere come Dolores avrebbe perfezionato le parti vocali del disco, alcune delle quali, se non proprio in fase embrionale, sarebbero state probabilmente arricchite nel corso delle registrazioni, dall’altro, il lavoro fatto dal gruppo e da Street non poteva essere migliore. Il suono, quel suono, che, immutabile nel tempo e legatissimo agli anni ‘90, è diventato un marchio di fabbrica, torna a rilucere come non era accaduto nei due precedenti capitoli, Roses (2012) e Something Else (2017). Le rombanti chitarre elettriche, i riff croccanti delle acustiche, le melodie di facile presa, ma mai scontate, e in sottofondo, i profumi famigliari che evocano Limerick e il cuore dell’Irlanda, si coagulano intorno al cantato singhiozzante, appassionato e inconfondibile di Dolores.

C’è tristezza, e nostalgia, e sconforto, e tutto ciò è quasi inevitabile: sono pochi i momenti leggeri del disco, mentre la maggior parte delle canzoni, concepite da Dolores, che ha scritto tutti i testi, e portate a termine dai tre compagni di una vita, sono attraversate da un mood malinconico che spesso afferra la gola e non lascia scampo. D’altra parte, negli undici brani in scaletta, la O’Riordan rifletteva sulle difficoltà della propria vita, sui suoi disturbi psichici, sulla separazione dal marito e sulla battaglia che giornalmente combatteva per tornare a riappropriarsi della propria esistenza.

Ed è indubbio, che alcuni passaggi delle liriche, così mesti, così cupi, così tristemente profetici (nell’iniziale All Over Now, Dolores canta: “ Do You Remember? Do You Remember The Place? In a Hotel In London. A Scar On Her Face”) abbiano influito sulla realizzazione finale dei brani. Che sono tutti convincenti, soprattutto nella prima parte del disco, che è anche la più marcatamente nostalgica e triste: canzoni come la citata All Over Now, la drammatica e crepuscolare Lost, l’amara invocazione di Wake Me When It’s Over, una sorta di Zombie del nuovo millennio, o la morbidezza dolente della melodia di A Place I Know, sono alcune delle cose migliori mai incise dai Cranberries. Resta, dunque, forte il rimpianto per una ritrovata ispirazione che avrebbe potuto dare ulteriori frutti, se Dolores non fosse prematuramente morta.

Vorrei cercare, ora, il modo di chiudere degnamente questa recensione, di scegliere le parole giuste che servono a sigillare non solo un album, ma anche la storia di una band e, per quanto mi riguarda, essendo fan della prima ora, un pezzettino del mio cuore. Tuttavia, come spesso accade, quando le canzoni si intrecciano con la vita privata, i ricordi e i gusti personali, il rischio è sforare nell’enfasi e nella retorica. Meglio evitare, allora, lasciando che tutti i rimpianti e le emozioni, le vostre, le mie, prendano forma durante l’ascolto del disco. Dolores apprezzerà comunque, ne sono sicuro. 


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