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THE BOOKSTORECARTA CANTA
In ogni caso nessun rimorso
Pino Cacucci
1994  (Feltrinelli)
LIBRI E ALTRE STORIE
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29/01/2019
Pino Cacucci
In ogni caso nessun rimorso
“Era la felicità che avevo inseguito per tutta la vita […] La felicità che mi era sempre stata negata, avevo il diritto di viverla quella felicità. Non me lo avete concesso. E allora, è stato peggio per me, peggio per voi, peggio per tutti. Dovrei rimpiangere ciò che ho fatto? Forse. Ma non ho rimorsi. Rimpianti sì, in ogni caso nessun rimorso”.

Nel primo decennio del XX secolo, la Francia fu segnata, tra le altre cose, dalla lotta di una banda di giovani anarchici in rivolta contro la società capitalistica, la Banda Bonnot il cui nome deriva dal leader ispiratore del gruppo: l’operaio anarchico Jules Bonnot. Un personaggio particolare, Jules; appassionato di motori, è operaio nel settore automobilistico, sergente dell’esercito, chauffeur (pare addirittura al servizio di Sir Conan Doyle) durante la sua permanenza in Inghilterra, e infine scassinatore, ladro di automobili, rapinatore.

In lui è però da sempre forte un senso di ribellione verso le ingiustizie della società che lo circonda, un istintivo impulso a stare dalla parte dei deboli, il desiderio di distruggere il sistema capitalistico in nome della dignità del popolo e degli operai sfruttati cui viene negato il diritto più importante: quello alla felicità. E così, tornato in Francia, prende contatto con alcuni anarchici parigini e decide di avviare una sua personale lotta contro il capitalismo e la borghesia: colpirli al cuore, in ciò che per loro veramente e più di tutto conta, vale a dire il denaro. Nasce allora la Banda Bonnot, un gruppo illegale, operativo dal dicembre 1911 all’aprile del 1912, che non prevede al suo interno una struttura precisa, nel senso che ciascun componente è libero di partecipare o no alle azioni messe in campo. Obiettivo della banda sono le banche, e i soldi ottenuti dalla rapina vengono utilizzati per dare sostegno ai gruppi anarchici parigini.

Prima di ogni colpo, Bonnot, in virtù della sua passione ed esperienza per i motori, ruba un’automobile che viene poi impiegata nella rapina. Nonostante l’assenza di una struttura gerarchica, la banda è assai ben organizzata e può contare su una serie di collaboratori esterni e di basisti, il che rende le sue azioni altamente incisive e in grado di andare a buon fine nonostante il grande dispiegamento di forze di polizia dinanzi gli istituti bancari. Infatti, la sfrontatezza con cui la banda Bonnot mette a segno i colpi spinge la polizia ad un controllo sempre più serrato che coinvolge diversi gruppi anarchici francesi, e che alla fine porta all’arresto dei vari componenti del gruppo.

Il 28 aprile 1912, Jules Bonnot, che, braccato e considerato l’anarchico più pericoloso di Francia, si era rifugiato presso un amico, viene circondato dalla polizia e dalla Guardia Repubblicana. Negli attimi precedenti la sua morte (ma non la sua resa), scrive una sorta di testamento in cui spiega le ragioni delle sue azioni e che si conclude con queste parole: “Era la felicità che avevo inseguito per tutta la vita […] La felicità che mi era sempre stata negata, avevo il diritto di viverla quella felicità. Non me lo avete concesso. E allora, è stato peggio per me, peggio per voi, peggio per tutti. Dovrei rimpiangere ciò che ho fatto? Forse. Ma non ho rimorsi. Rimpianti sì, in ogni caso nessun rimorso”.

È da qui che parte il libro di Pino Cacucci, da questa orgogliosa rivendicazione di coerenza verso le proprie idee e il proprio essere sociale, per descrivere la vicenda umana e “rivoluzionaria” di Jules Bonnot. Con alle spalle un’infanzia difficile, da adolescente entra nel mondo del lavoro e si scontra subito con la sopraffazione e lo sfruttamento. Sin da subito maturano in lui quelle idee che lo avvicineranno al mondo anarchico, e tuttavia, in più di un’occasione, cerca di cambiare vita, cerca di godersi nella tranquillità quella felicità per cui si batte ogni giorno della sua esistenza. Ma ogni volta le cose prendono una direzione diversa da quella voluta, e questo lo porta a misurarsi con una verità ineluttabile: “Questa società non ha margini, si è comunque costretti a farne parte, e impugnare una pistola per non essere né sfruttati né sfruttatori, significa soltanto trasformarsi in uomini braccati”. 

Non trova pace, Jules. Ovunque vada, viene indicato come pericoloso agitatore anarchico e costretto a cambiare città; sposatosi, si trasferisce prima a Ginevra, poi a Lione, a Saint-Etienne… ogni volta viene espulso perché la sua fama lo precede. La moglie lo lascia e va via portandosi dietro il figlio, e Jules, dopo un periodo di permanenza a Londra dove lavora come autista, torna a Parigi e crea la banda Bonnot che diventa la più temuta e ricercata di Francia.

Il libro di Cacucci racconta questo. Racconta il diritto di perseguire un ideale di felicità e giustizia fino alla fine, fino all’estremo. A dispetto di tutte le frasi fatte e filosofeggianti che oggi riempiono le pagine dei social e non solo, e ci invitano a crearci da noi stessi il nostro destino, a non cercare di cambiare il mondo ma a cambiare dentro di noi, a credere che tutto è possibile, a patto di avere determinazione, volontà e bla bla bla…, la storia di Jules ci dice che siamo un prodotto della società, che è il nostro stare nel mondo a determinare quello che la vita ci riserva.

Jules Bonnot non è uno sfortunato perseguitato dal fato crudele, no: è uno dei tanti uomini sfruttati, poveri, costretti a combattere sin dall’infanzia per sopravvivere. Se c’è una sfortuna che lo perseguita, è il fatto di essere uno che non si rassegna, uno che è consapevole della profonda ingiustizia che costringe gran parte dell’umanità a vivere in catene perché una minoranza possa invece vivere nel benessere e godere di una libertà che non le spetterebbe altrimenti. “Si chiese per quale oscura macchinazione del destino nascono uomini diversi dagli altri, da tutti quelli che rimangono a capo chino fino all’ultimo dei loro giorni, in una rassegnazione muta, che rende quei giorni uguali e le notti inesistenti. Si chiese perché a qualcuno tocchi in sorte di non trovare pace ogni volta che tramonta il sole, dannato dall’attesa di un’alba che arriva sempre troppo presto, pronta a dimostrare che ogni oggi sarà peggiore di ogni ieri”.

Lo si è detto prima: Jules è un personaggio singolare; nonostante questo profondo senso del dolore, questa voglia di incendiare il mondo e ribaltare lo stato di cose presenti, in lui c’è pur sempre spazio per l’amore, e ogni volta che l’amore lo conquista, si fa largo nel suo intimo l’idea di godersela la tanto desiderata felicità, di trovare pace finalmente. Ma è sempre troppo tardi e anche da ciò Jules trae un insegnamento per quanto doloroso, ma tragicamente vero: “Per l’amor del cielo. Chissà se c’era davvero amore in cielo. Perché sulla terra, tu lo sapevi, era rimasto spazio solo per l’odio. Quanto odio può contenere un cuore Jules? Tu credevi di aver raggiunto il culmine fino a pochi attimi prima. E adesso scoprivi che di posto, per l’odio, ce n’era sempre a dismisura, una immensità di odio vasto quanto l’universo. Era infinito l’odio. Solo l’amore… solo l’amore ha limiti”.

Sembrerebbe una riflessione tremendamente pessimistica, invece non è così. È l’odio verso l’ingiustizia, le diseguaglianze, l’oppressione sociale, l’annullamento della dignità delle persone, è l’odio verso ciò che non ci rende liberi e felici a darci la spinta per cambiare le cose. O almeno per provarci. Poi, vada come vada, in ogni caso nessun rimorso.