Cerca

logo
REVIEWSLE RECENSIONI
11/06/2018
Grant
In Bloom
Il meglio arriva dopo svariati ascolti, quando sotto il linguaggio universale del pop, sotto le spoglie di un’apparente semplicità, affiora un mondo complesso di umori, idee e palpiti, che introducono le mille sfaccettature di una donna e di un’artista capace di sorprendere e di lasciare l’ascoltatore più intrigato che mai

Se In Bloom sarà premiato, in termini di critica e di vendite, come uno dei dischi pop più interessanti del 2018, è prematuro per dirlo, visto che è stato pubblicato da pochissimo. E’, tuttavia, evidente che Grant, singer songwriter originaria di Stoccolma, Svezia, ha tutte le carte in regola per fare grandi cose e aggiudicarsi un posto di primo piano fra gli artisti esordienti dell’anno.

Che avesse stoffa, lo avevamo già intuito alla fine dello scorso 2017, quando venne pubblicato Waterline, singolo che oggi trova spazio anche in questo full lenght, e che inchiodava a ripetuti ascolti grazie a un’interpretazione sincera e a un ritornello mozzafiato. Una canzone così ha creato notevoli aspettative sul lavoro di Grant, e la curiosità di vedere se, anche sulla lunga distanza, riuscisse a mantenere un tale livello di qualità.

E’ bastato, in realtà, un solo altro singolo a fugare ogni dubbio sul talento di questa giovane ragazza svedese. Perché Catcher In The Rye (titolo che evoca il capolavoro di Salinger, Il Giovane Holden) è una canzone dal tiro pazzesco, un brano pop dance accattivante e orecchiabilissimo, che si distingue dalla media di genere grazie a un arrangiamento suntuoso.

A prescindere, però, da questi due ottimi episodi, concepiti evidentemente per aggredire il mercato e trainare le vendite dell’album, sono molte le frecce all’arco di Grant, che dimostra di manipolare la materia con estro e agilità, disseminando le dieci canzoni in scaletta di intuizioni originali e citazioni importanti, e plasmando un suono raffinato, moderno, molto radiofonico, ma mai stucchevole.

L’iniziale Lighthouse è costruita su un’incisiva orchestrazione d’archi e di ottoni ed è attraversata da un mood malinconico che richiama alla memoria inevitabilmente Lana Del Rey: brano d’atmosfera, molto intenso, che introduce nel miglior modo possibile una scaletta la cui chiave di lettura è la varietà.

Così, Wicked, ad esempio, rigenera con gusto moderno antichi echi “bristoliani”, mentre con la melodrammatica Gone, Grant veste i panni della dark lady, e in Lightyears si misura egregiamente con il nu soul. Il disco, poi, si chiude con due autentiche gemme: Gravity’s Rainbow, dolcissima ballata che tocca il cuore grazie a una melodia sincera e diretta, giocando sul contrappunto di una ritmica marziale, quasi militaresca, e Cold War, il brano più intimo e raccolto dell’intero album, in cui Grant mette a nudo la bellezza della propria voce e porge all’ascoltatore senza più mediazioni quella verace intensità che anima l’intera scaletta.

In Bloom è un disco che arriva immediatamente, grazie a melodie di facilissima presa e a un appeal che, come si diceva, è molto radiofonico. E’ un’opera coesa, riuscita e centrata nella sua indiscutibile modernità. Eppure, il meglio arriva dopo svariati ascolti, quando sotto il linguaggio universale del pop, sotto le spoglie di un’apparente semplicità, affiora un mondo complesso di umori, idee e palpiti, che rappresentano le mille sfaccettature di una donna e di un’artista capace di sorprendere e di lasciare l’ascoltatore più intrigato che mai.