I dischi degli australiani Apartments sono perle rare centellinate nel tempo, rilasciate con una lentezza d’altri tempi, come se ogni nuova uscita fosse il frutto di una cura materna, l’accurata realizzazione di un artigiano, che leviga e cesella con amore ogni centimetro della sua opera.
In And Out Of The Lights è il sesto disco di una carriera che è iniziata a metà degli anni ’80, dopo che Peter Milton Walsh, nocchiero del progetto, aveva contribuito brevemente alla storia della band di culto dei The Go-Betweens. Una musica, quella concepita dalla penna del leader, che ha mantenuto negli anni tratti identificativi ben delineati, l’idea, cioè, di una canzone ballata, al contempo romantica e malinconica, che evocasse un suono classico e atmosfere di uno sgranato bianco e nero.
Brani senza tempo, che fluttuano sopra ogni decade nella quale sono stati concepiti, senza però imparentarsi a nessun suono specifico, unici e immediatamente riconoscibili, proprio grazie al loro essere attraversati da un apolide senso di nostalgia, buoni per ogni luogo e ogni epoca, pretendendo solo un comodo divano nella notte, le cuffie a contenere le emozioni e il cuore aperto agli struggimenti.
Come evocato fin dal titolo, le nove canzoni di In And Out Of The Light, attraversano un territorio intimo in cui si susseguono luci e ombre, in cui barbagli di sole e dolcissimi languori si accostano tremanti al soliloquio meditabondo e sfiorano appena gli occhi umidi di lacrime. Non c’è però disperazione (con cui Walsh convive dal 1999, anno in cui gli morì la figlioletta), semmai uno sguardo esistenziale pacificato, ma consapevole e critico, e una malinconia che avviluppa morbida senza mai forzare troppo la stretta.
La famigliarità con cui il disco inizia, come se fosse una seconda facciata del precedente, bellissimo No Song, No Spell, No Madrigal, è esattamente quello che ci attendiamo da una canzone degli Apartments. L’opener Pocketful Of Sunshine, quell’arpeggio di chitarra che cerca gli accordi in minore, la voce calda di miele, i controcanti eterei, il sospiro della tromba e il velluto dell’organo, sarebbero d’indicibile mestizia, se non fosse per quel raggio di sole che illumina la scena e fa evaporare gli struggimenti, mentre Walsh canta “Tu vuoi ricominciare a vivere, e se io potessi metterei un po' di cielo blu nella tua testa”. Luci e ombre, rassegnazione e speranza.
Write Your Way Out Of Town, costruita su splendide linee di chitarra, è quasi stasi contemplativa, lo sguardo fuori dalla finestra mentre le luci autunnali velano di nostalgia il tramonto e la voce di Walsh, che quasi implora: “Resta, è tutto quello che ti chiedo di fare”. L’intreccio leggiadro di piano e chitarra, l’incedere felpato e la carezza degli archi, mitigano il lamento esistenziale di When You Used To Be, attenuano lo straziante senso di vuoto di quel verso, “c’è un buco nel mondo dove tu eri solita stare”, e addolciscono la dichiarazione di non appartenenza al mondo di un sognatore, suggerito dal cantato di Walsh: “Chiedimi degli obiettivi, sai che non ne ho, chiedimi dei sogni, sai che ne ho molti”.
Il secondo singolo, What’s Beauty To Do?, pone una domanda immensa, a cui Walsh dà una risposta tanto evidente quanto confortante: “ E’ una luce nel buio, una luce nel buio”, poche parole che leniscono il dolore di una perdita che non potrà mai essere colmata.
L’ipotetica seconda facciata del disco inizia qui, e gli umori si fanno leggermente più cupi. Sebbene l’album sia stato registrato prima del lockdown, quel verso contenuto in Butterfly Kiss, ”Lucy The World Has Changed”, sembra riflettere la drammaticità dei nostri giorni, accentuata, poi, dalla voce grave di Walsh e dalla tensione innervata da poche note di tromba. Il pianoforte di Chris Abrahams gocciola lacrime e pioggia su We Talked Through Till Dawn, il brano più struggente in scaletta, una sorta di nostalgico lamento (“I Made A Thousand Whishes and It Got Me Nowhere”), che si lega a filo doppio con le atmosfere di No Song, No Spell, No Madrigal. Gli archi e lo xilofono dell’amara I Don't Give A Fuck About You Anymore anticipano la superba chiosa di The Fading Light, gemma che coagula in sei minuti la bellezza senza tempo di quella canzone d’autore che ha in Leonard Cohen il suo nume tutelare.
In And Out Of The Light non è certo un disco semplice, si tiene lontano dal mainstream, sonda l’anima, scava a fondo nelle emozioni, evita i luoghi comuni e sceglie la strada della riflessione che fa male, e che talvolta sfocia nel pessimismo. Un disco che parla ai romantici, soprattutto, a coloro che amano crogiolarsi nella propria voluptas dolendi, e raccogliersi in silenzio, nel cuore della notte, ad aspettare l’alba e quell’ora in cui un raggio di sole trafigge il buio, che si dissolve. Dentro e fuori la luce: la speranza, il dolore, i desideri, la perdita, l’attesa della gioia, il pungolo dei ricordi. In queste nove canzoni c’è tutto quello che noi siamo soliti chiamare vita.