Terminata l’epoca delle rockstar (parola che, nel 2019, fa quasi tenerezza scrivere), oggi c’è tutta una giovane scena di musicisti che tende piuttosto a cantare la propria fragilità, a tratti quasi ostentandola e attraverso questo, paradossalmente, guadagnare nuova forza. È la generazione delle camerette, dei pezzi registrati con Pro Tools e caricati su Soundcloud o Bandcamp, della periferia americana e dei piccoli College come ambiente sociale più frequentato. È un qualcosa che esiste da un po’ ma di cui negli ultimi anni cominciamo ad accorgerci sempre di più: da Julien Baker a Snail Mail, da Laurel a Nilüfer Nyanya, fino ad arrivare a nuovissimi nomi come quelli di Hatchet, Angie Mc Mahon e, appunto, Clairo. Più ovviamente tanti altri, perché la lista, a voler essere esaustivi, sarebbe parecchio lunga.
Abbiamo fatto solo nomi femminili e forse non è un caso. Non che ci siano solo loro, per carità, ma se consideriamo anche il campo dell’Rnb e del Pop da classifica, è indubbio che le donne si stiano affacciando alla ribalta con un’inventiva ed una padronanza di mezzi che forse è senza precedenti. Allo stesso tempo, e anche qui probabilmente non è una coincidenza, il mettere a tema problematiche legate all’identità sessuale, senza portare avanti rivendicazioni politiche e sociali, ma semplicemente come modo per raccontare se stessi e trovare il proprio posto nel mondo, pare essere un altro segno distintivo a riguardo.
Claire Cottrill, classe 1998, è una delle ultime piacevoli scoperte in questo senso ed il modo con cui il suo esordio su disco “Immunity” sta venendo accolto, dice di un fenomeno da tenere d’occhio con grande attenzione.
La strada per arrivare fin qui è stata abbastanza classica ma la sostanza, sin dai primissimi momenti, si è visto che non mancava. “Pretty Girl”, il suo singolo d’esordio, è del 2017 ed il suo video artigianale, dove Claire veniva semplicemente inquadrata nella sua camera, a ballare al ritmo della canzone e a cantarne le parole, è divenuto virale in poco tempo (ad oggi su Spotify siamo attorno ai 65 milioni di ascolti, giusto per capire). A stretto giro arrivano altri due singoli, poi un ep di sei pezzi, “Diary.001”, contenente anche un importante featuring col rapper Rejjie Snow. Sono seguiti un tour in apertura a Dua Lipa, un’altra serie di date con Khalid, fino all’incontro con Rostam Batmanglij, grazie al quale la ragazza di Carlisle, Massachusetts, ha capito che al posto di un già ipotizzato “Diary.002”, avrebbe potuto esserci un album vero e proprio.
Quando “Bags”, singolo apripista e primo frutto della collaborazione tra i due ha visto la luce, nel maggio di quest’anno, Claire aveva già suonato al Coachella, imponendo il proprio monicker Clairo come una delle grandi promesse degli anni futuri.
Una che in poco più di un anno e mezzo combina tutto questo o è semplicemente fortunata, o ha delle raccomandazioni importanti oppure ha talento vero. Per noi è la terza. Le sue prime canzoni colpivano per la delicatezza e per la sincerità, veicolata sia dal modo di cantare, sia dal modo disarmante con cui nei testi raccontava se stessa. Vero però che la collaborazione con l’ex Vampire Weekend le ha permesso di mettere maggiormente a fuoco le idee, selezionando meglio i linguaggi attraverso cui esprimersi.
“Immunity” è il frutto di tutto questo lavoro e, a conti fatti, potrebbe essere uno dei più bei debutti di questo 2019. La cosa che colpisce di più è il modo che ha trovato per sintetizzare alla perfezione le sue due anime musicali: quella più marcatamente Dream Pop e Shoegaze (un disco come “Loveless” dei My Bloody Valentine è stato un punto fermo nella sua formazione, come canta lei stessa in “White Flag”) e quella Rnb, ereditata in particolare dagli ascolti dei genitori.
Ovviamente la cura Batmanglij ha operato soprattutto a livello di suono, donando a tutto il disco un vestito scarno ma allo stesso tempo scintillante, dove l’impronta Lo Fi è solo il modo con cui si è scelto di declinare un lavoro che è invece curato in ogni minimo dettaglio.
C’è dunque un potenziale da classifica altissimo, cosa ben evidente nei tre singoli estratti: “Bags”, “Closer to You” e “Sofia”. Canzoni magnifiche, autentiche gemme Pop dove l’efficacia dei Beat convive con la bellezza delle melodie e dove tutto è all’insegna di una malinconia sognante che non è mai vera e propria sofferenza.
È un disco intimista, per certi versi, dove il ritmo è quasi sempre basso, in un’impronta che sa spesso, appunto, di confessione personale. Una scelta che assomiglia in parte a quella portata avanti da Billie Eilish col suo disco d’esordio, tranne per il fatto che qui non ci sono episodi smaccatamente aperti come “Bad Guy”. Forse l’unico momento in cui si ha l’impressione che si provi a costruire una hit a tavolino è “Closer to You”, dove c’è peraltro un massiccio uso dell’Autotune (però è anche interessante quello che ha spiegato Claire a proposito, e cioè che l’effetto sarebbe stato impiegato per evocare quel muro simbolico che sta in mezzo ad una relazione che non funziona, quando nessuno dei due partner si apre pienamente all’altro); o forse anche in “North”, tipicamente adolescenziale, con una melodia vocale molto ammiccante e un testo che è una timida ma esplicita dichiarazione d’amore. “Sofia”, invece, è quella che esprime maggiormente l’animo rock, perché è l’unica con le chitarre in primo piano, oltre ad avere un feeling eighties particolarmente presente.
È un disco che parte dalla quotidianità, da un orizzonte se vogliamo ristretto: l’iniziale “Alewife”, che col suo vestito scarno pare sintetizzare a pieno i contenuti che seguiranno, prende il nome dalla fermata della metro di Boston (il capolinea della linea rossa, per essere precisi) che dista esattamente 30 minuti da casa sua, come lei stessa sottolinea con precisione nel primo verso. Ecco, una dimensione così, un “qui e ora” così ben delineato, fa poi da preludio ad un canzoniere universale, nella misura in cui i temi cantati sono sempre quelli: la sofferenza che spinge fino a desiderare di farla finita, il desiderio di trovare qualcuno da amare e da cui essere amati, con la conseguente paura di non essere adeguati; da ultimo, la convivenza con la malattia. All’età di diciassette anni a Claire è stata diagnosticata una forma di artrite reumatoide e doverla affrontare le ha indubbiamente cambiato l’esistenza. La conclusiva “I Wouldn’t Ask You” parla proprio di questa vicenda e la netta divisione in due parti (la prima è una lenta ballata per piano e voce, la seconda un Up Tempo dalla chiara impronta Rnb), è un modo per descrivere la sofferenza provata ma anche la gratuità dell’aiuto ricevuto dal suo ragazzo di allora.
A leggere i testi si capisce poi molto meglio l’aspetto musicale, come mai gli undici episodi di “Immunity” appaiano così in punta di piedi, quasi una confessione sottovoce. C’entra il suo primo innamoramento per un’altra donna, il sentirsi attratta dal sesso femminile, il difficile processo che ha portato all’accettazione di sé, fino al punto da dichiararlo ufficialmente, proprio a maggio, in occasione dell’uscita del primo singolo. Molti di questi brani parlano esplicitamente di questo, descrivono una relazione tra due donne (“Volevo scrivere canzoni in cui potermi identificare totalmente, non come quando sei costretta a cambiare i pronomi per poterlo fare”) in tutte le sue diverse sfumature. Le atmosfere musicali riflettono questo senso di insicurezza ma anche questa voglia di aprirsi, questa urgenza costante di volere essere amati per quello che si è.
“Se qualcuno mi scrivesse dicendo che ha bisogno di qualcuno con cui parlare, vorrei poterci essere per lui.” ha dichiarato Claire in un’intervista recente ed è evidente come questa esplicita manifestazione di empatia nei confronti dei propri fan abbia molto a che vedere con quello che dicevamo all’inizio: “Immunity” è un disco che mescolando l’Indie da cameretta con sonorità senza dubbio più in linea col gusto del momento, tenta di arrivare al cuore delle persone rappresentando semplicemente la normalità dell’esistenza. Proprio qui sta il fascino di Clairo: una ragazza come tutte, che ha trovato il coraggio di aprire il proprio animo attraverso la bellezza delle proprie canzoni. Niente di innovativo ma, lo ripetiamo, qui c’è del talento vero; ed occorre andare a vedere.