Non ci avrebbe scommesso nessuno in una carriera così. Quando Semper biot venne pubblicato, nel 2009, eravamo già fin troppo contenti che Stefano Rampoldi fosse vivo, per domandarci che tipo di esito avrebbe avuto quel suo improvviso ritorno discografico.
Dodici anni e sei dischi dopo, il cammino artistico di Edda ha acquisto una solidità ed una credibilità sorprendenti, ed appare ormai chiaro quale sia, tra le due metà dei Ritmo Tribale, a godere delle maggiori fortune e consensi.
Non stiamo parlando di numeri enormi, per carità, abbiamo pur sempre a che fare con artisti della vecchia generazione, con un pubblico in gran parte di reduci, i giovani questa roba qui non sanno neppure che esiste. Ciononostante, non possiamo che essere contenti per lui: dopo i primi due dischi, mentre si accingeva a preparare il terzo, la sua casa discografica (allora era con Woodworm) gli aveva consigliato di mollare il suo lavoro nei ponteggi, per sfruttare il momento favorevole e cercare di fare musica a tempo pieno. Non so sinceramente come se la cavi adesso, in un periodo in cui nomi ben più famosi faticano a sbarcare il lunario; resta il fatto che quello che era nato un po’ per gioco è ormai un progetto consolidato, e che il nome di Edda, nel panorama del rock alternativo italiano, non è più solo legato a quanto fatto con la sua vecchia band.
Illusion è il suo sesto lavoro solista, il primo con Ala Bianca, il primo con Gianni Maroccolo nelle vesti di produttore. L’ex Litfiba e CSI aveva già lavorato assieme a Stefano durante la pandemia quando, forzati dall’isolamento, avevano realizzato il divertente e a tratti interlocutorio Noio; volevam suonar, un disco che hanno poi regalato (spese di spedizione escluse) a tutti coloro che ne avessero fatto richiesta. Devono essersi trovati bene (lo avevo già capito intervistando Gianni per parlare del progetto) visto che hanno deciso di rifarlo.
E se il precedente disco era stato più che altro un divertissement con buoni spunti, a questo giro si rischia davvero di fare il botto. Non credo proprio a livello di vendite, perché ormai sappiamo come funziona, ma che Illusion sia il punto finora più alto della carriera solista di Edda e che possa divenire in futuro uno dei dischi più importanti del rock alternativo italiano degli ultimi anni, non è poi un giudizio così campato in aria.
Stefano arrivava da un lavoro come Fru Fru, che aveva dispiegato al massimo livello le potenzialità della sua scrittura e non era facile capire che cosa ci sarebbe stato dopo.
Gianni Maroccolo ha senza dubbio avuto un ruolo fondamentale in tal senso. L’ex Ritmo Tribale ha sempre avuto una penna di prim’ordine ma, pur se adeguatamente accompagnato, l’impressione che ho avuto è che le sue produzioni avessero sempre un che di incompiuto, come se la sua personalità spesso e volentieri strabordante e sopra le righe avesse spesso condizionato la riuscita finale dei vari lavori. Le cose ora sono diverse: Maroccolo è stato in grado di smussare le asperità e di intervenire laddove necessario per equilibrare le forme. Il risultato sono undici canzoni dove tutto è al proprio posto, dove la cura del dettaglio rasenta il maniacale e dove non c’è nessuna traccia di improvvisazione. Edda aveva esattamente bisogno di questo, di qualcuno che ne valorizzasse il talento e ne guidasse la mano. Senza nulla togliere a Taketo Gohara e a Luca Bossi, che questo lavoro lo hanno svolto in passato, ma l’impressione è che sia proprio con Gianni Maroccolo che Stefano Rampoldi abbia trovato la sua dimensione definitiva.
Per il resto, Illusion è semplicemente il proseguimento di un percorso: rispetto a Fru Fru lo spettro compositivo è più ampio, se il precedente alzava molto il tiro privilegiando sonorità più rockeggianti , questo preferisce colori più tenui ed è molto meno immediato anche a livello melodico. C’è solo un brano, “Carlo Magno”, peraltro splendida, che ricalca il modello ormai consolidato di “Stellina”, anche se le chitarre sono meno abrasive. Anche “Ignoranza”, introdotta da un tema molto contagioso che sembrerebbe modellato col glockenspiel (non ho i credits dei vari strumenti) è un po’ più sostenuta delle altre, ma fa uso quasi immediatamente di pattern molto poco lineari.
Per il resto si tratta soprattutto di una collezione di ballad, anche se le varie soluzioni di arrangiamento, le linee vocali elaborate e spesso cangianti danno un’impressione di maggior ricerca e sofisticatezza. Squarci di bellezza improvvisa si palesano comunque ad ogni pezzo, frutto di un controllo della voce che non è mai stato così maturo e di una capacità nell’imbastire linee vocali che è assolutamente prodigiosa.
Basta ascoltare “Trema”, “Gurudeva” o il sorprendente singolo “Lia”, sorta di versione aggiornata della grande canzone anni ’60, per rendersi conto di che razza di lavoro il team Rampoldi/Maroccolo sia riuscito a tirare fuori. Ma anche laddove si sceglie di andare sul sicuro, muovendosi sui binari prefissati, il risultato è da applausi: “Mio capitano” e “Alibaba” sono in fin dei conti le solite canzoni che Edda scrive dal 2009 ma, complice anche il vestito elegante che hanno addosso, esemplificano una formula di cui non ci stancheremmo mai.
Sui testi nulla di nuovo. In questo campo Stefano è sempre stato un pazzoide guidato dall’istinto e anche Illusion, che pure richiama l’immagine del velo di Maya resa celebre da Schopenhauer, è interamente costruito su improbabili associazioni di idee. Si fa fatica a capire che cosa voglia veramente dire (e il più delle volte ovviamente non lo sa neanche lui) ma versi come “Un po’ fascista e un po’ laziale, Gesù bambino cominciamo male” o “Carlo Magno a 25 anni era già re dei Franchi/La mia vita è nata già finita ma tu non mi manchi” possiedono un fascino perverso impossibile da ignorare.
A completare il quadro, va detto che il tutto è suonato egregiamente da un team di musicisti di primo piano, dove accanto allo stesso Maroccolo e a al suo vecchio compagno nei Litfiba Antonio Aiazzi, ci sono anche Simone Filippi (Ustmamò, Deproducers), Flavio Ferri (Delta V), Andrea Pelosini (Laura Pausini, Max Pezzali) e Beppe Brotto, che aveva già collaborato con Marok in passato e che si occupa di uno strumento particolare come la viola nepalese.
L’augurio è che un album come questo possa essere notato dal più alto numero di persone possibile, anche se visto cos’è successo con altri titoli a cui avevo auspicato grande fortuna, non ci conterei troppo.
Post scriptum: do mezzo punto in meno rispetto a Fru Fru perché, seppure la superiorità di Illusion sia abbastanza conclamata, il precedente, almeno a livello di singole canzoni, mi era piaciuto leggermente di più. Sono dettagli, tuttavia. Stiamo parlando di un artista che, fatta eccezione per Odio i vivi, che era decisamente fuori fuoco, non ha di fatto mai sbagliato un colpo.