Il sole dei morenti è l'ultimo romanzo scritto da Jean-Claude Izzo prima della sua prematura scomparsa. È il suo capolavoro: una struggente esplorazione del potere distruttivo dell'amore, la storia di un uomo che cerca l'amore e non lo trova, e per questo viene relegato ai margini della società. Il merito di Izzo è di riuscire a farci identificare con un destino apparentemente estremo, quello di un essere umano che ha perso tutto. Quando i pompieri portano via il corpo di Titì, l'unico amico rimastogli, morto di freddo in una stazione del metrò parigino, Rico decide che è ora di andarsene, lasciare Parigi per il sud. Se deve morire, tanto vale morire al sole. Nel suo viaggio incontra altri disperati come lui, persone finite sulla strada seguendo percorsi di vita diversi e che reagiscono diversamente, chi con solidarietà chi con cattiveria. In fondo al viaggio c'è Marsiglia e la speranza di rivedere Lea, il grande amore della sua gioventù.
Può succedere a chiunque. Un giorno la vita ti volta le spalle, perdi il lavoro, perdi l’amore e la famiglia che amavi. E non sei più nessuno: diventi un paria, un miserabile, un clochard senza volto o un numero, nel migliore dei casi, quando il freddo di notti gelide ti uccide e diventi parte di una statistica, l’estemporanea notizia data al tg della sera.
Questa è la storia di Rico che, da un giorno con l’altro, si trova risucchiato in un vortice di abiezione, senza una casa, senza un lavoro, senza una speranza. Quando muore Titì, l’amico del cuore con cui condivideva il pane duro di una vita di espedienti, i pasti frugali, il tormento di notti all’addiaccio, il gusto rancido del vino a poco prezzo, Rico perde l’unico punto di riferimento rimasto di un’esistenza ai margini. Decide così di partire, di lasciare Parigi per tornare a Marsiglia, città di ricordi dolcissimi e di un antico amore di gioventù.
Un viaggio lungo e pericoloso, durante il quale il protagonista del romanzo fa i conti con il proprio passato e con l’uomo che era un tempo, rivivendo tutti gli amori perduti, le illusioni e le speranze che la vita gli ha tolto. Un viaggio nella consapevolezza che tutto è perduto, che non c’è spazio al mondo per gli ultimi e i reietti, che ciò che resta, alla fine del cammino, è solo scegliere di morire in riva al mare, guardando il sole, ultimo lampo di luce capace di fendere l’ammorbante afrore di una miseria cupissima.
Izzo si schiera a fianco del suo personaggio e di questa umanità allo sbando, persa definitivamente, ma talvolta ancora in grado di piccoli gesti di bontà e dolcezza, il cuore che batte ancora nello sprofondo esistenziale di una notte nerissima.
Uno degli ultimi baluardi romantici contro la deriva di questi tempi bui, Izzo sta alla letteratura come Ken Loach al cinema: sempre dalla parte dei perdenti, scrive per dare un’identità ai senza nome, a coloro che stanno sul gradino più basso di una società ipocrita e ormai priva di valori etici. Se però il sottoproletariato urbano così ben raccontato dal cineasta inglese, riesce, talvolta, a trovare redenzione e riscatto, in Izzo prevale un pessimismo invasivo, perché il mondo e la vita fanno schifo e non c’è alcuna speranza per i suoi eroi dal cuore d’oro ma dal destino irrimediabilmente segnato.
Un romanzo cupo, triste e amaro, che non fa sconti, raccontando tutte le miserie di un’umanità perduta nella logica del profitto e incapace di tendere una mano salvifica a chi viene risucchiato in un dolore immenso. Indispensabile per chi è ancora in grado di ribellarsi, indignarsi e commuoversi alle lacrime.