Giovanni Capurso (Molfetta, 1978) è un docente e scrittore. Collabora inoltre con numerosi periodici e blog. Ha pubblicato i romanzi di formazione “Nessun giorno è l’ultimo” (Curcio Editore, 2015), “La vita dei pesci” (Manni Editori, 2017) e “Il sentiero dei figli orfani” (Alter Ego Edizioni, 2019), in cui racconta la storia di Savino, un uomo che ricorda il suo passato e i suoi giorni felici, in quella delicata fase della vita in cui si passa dalla fanciullezza all’adolescenza.
Di cosa tratta il tuo romanzo di formazione Il sentiero dei figli orfani?
Il motivo generatore del romanzo è la convinzione che in ognuno di noi il bene e il male coesistono confliggendo. Detto altrimenti, non esistono persone buone e cattive in assoluto. Il giovane Savino, protagonista della storia, lo scopre poco alla volta nella sua terra d’origine, un paesino della Lucania, attraverso alcuni incontri inaspettati. Passa anche dall’innocenza alla graduale comprensione della complessità di un mondo adulto che non è a sua disposizione.
In questo senso è appunto un romanzo di formazione.
Qual è il messaggio che hai voluto trasmettere al lettore con la tua ultima opera?
La storia è quella di una persona che guarda al suo passato con nostalgia dopo essersi allontanata dal luogo in cui ha vissuto durante la giovinezza per cercare la sua strada.
Il romanzo è quindi ispirato a un mondo giovanile che va via dalla sua terra perché non trova opportunità per realizzare le proprie aspirazioni. È in fondo il messaggio principale.
Cosa comprende in età adulta Savino, il protagonista de Il sentiero dei figli orfani, dopo aver ripercorso gli anni della sua giovinezza?
Il protagonista inizia l’ultimo paragrafo affermando che “esistono corse all’indietro verso il passato”. Vuole dire che in un momento di crisi esistenziale e di dubbio, trova proprio in quei valori solidi acquisiti in una “terra di villani” un punto di riferimento sicuro per il prosieguo della propria vita.
Sei al tuo terzo romanzo di formazione. Cosa ti spinge a scrivere storie appartenenti a questo genere letterario?
Da professore di Filosofia per me una storia deve essere in grado di generare una tensione etica e un messaggio morale. Più in generale l’idea che la filosofia possa essere assimilata a una forma d’arte – nella fattispecie, alla letteratura – è qualcosa di antichissimo. Platone per primo, per comunicare le sue posizioni filosofiche utilizzava dialoghi cioè narrazioni, e a loro volta tali narrazioni erano intrise di miti. Ciò perché è chiaramente più facile esprimere una propria idea attraverso una storia nella quale ognuno di noi può facilmente identificarsi.
Ci parli più nel dettaglio del tuo romanzo d’esordio Nessun giorno è l’ultimo?
Nessun giorno è l’ultimo vuol dimostrare come il nostro modo di affrontare le situazioni, nostro malgrado, dipende dal modo in cui ognuno di noi si pone dinanzi alla vita. Questa idea viene inquadrata all’interno di una cornice familiare complessa: Sergio è il titolare di un’azienda in crisi divorato dai suoi demoni e in perpetuo confronto con il passato; Stella, la figlia adottiva, è una ragazzina solo apparentemente ingenua che deve costruire la propria felicità con al nuova famiglia. Insieme imparano a conoscersi e ad affrontare le difficoltà quotidiane.
Le vicende narrate, in un Sud dove ogni problema può essere visto con le lenti di ingrandimento, portano i due a una sorta di una affinità elettiva.
Il tuo romanzo Il sentiero dei figli orfani contiene diverse citazioni letterarie, da Emily Dickinson a Cesare Pavese. Quali sono le opere e gli scrittori che hanno influenzato il tuo percorso di autore di narrativa?
Leggo volentieri le distopie, ma per i miei studi sono sempre stato attratto dalla grande letteratura esistenzialista: La ricerca del tempo perduto di Proust, L’uomo senza qualità di Musil, Il mito di Sisifo di Camus e Il male oscuro di Giuseppe Berto; e poi tra gli autori più vicini a noi J. Gaarder, M. Houellebecq, M. Kundera e J. Saramago.
Sei già a lavoro su un nuovo romanzo? Puoi darci qualche anticipazione?
Sì, ho delle storie in fase di elaborazione nella mia testa. C’è l’idea, come si suol dire. Questa fase può durare anni. Un romanzo è in stesura da un annetto. Poi ho un saggio su temi educativi in fase di revisione.