“Certo, chi comanda non è disposto a fare distinzioni poetiche”, sostiene R. sulla sua pagina Facebook. “Comodo ma come dire poca soddisfazione”, gli risponde qualcuno. “Un bicchiere per bere forte e un bicchiere per bere piano”, ribatte un terzo. “Avessi qualcosa da regalarti e se non ti avessi uscirei fuori a comprarti”, chiude la discussione R. Tutto è accaduto proprio ieri, sotto ai nostri occhi.
Il 23 settembre 2017 si è celebrato il quarantennale della pubblicazione del 45 giri di “Heroes” di David Bowie, quello che si accompagna sul retro a “V2 Schneider” e ha la stessa foto dell’omonimo 33 giri di Bowie con il giubbottino di pelle e con la questione delle pupille in risalto. Potete facilmente capire quindi che questa ricorrenza corrisponda a una festa per tutta la musica in inglese, in cui i veri festeggiati siamo noi che, malgrado non afferriamo la stragrande maggioranza delle parole (ma se siete madrelingua inglesi vi autorizzo a mandarmi a quel paese) continuiamo a soffrire e a emozionarci per la musicalità dell’espressione della voce nel rock, a storpiarne l’essenza riproducendo suoni senza significato nemmeno fossimo degli adriani celentani qualunque, per poi esplodere con convinzione nel ritornello quando, almeno nei passaggi in cui riconosciamo il titolo, siamo sicuri che il testo possa essere verosimile.
Io sostengo che non afferrare le liriche e, di conseguenza, ignorarne il significato è una fortuna perché già il rock (passatemi il termine per generalizzare la musica che ascoltiamo, uso rock per intendere anche tutto il resto) è totalizzante nell’accezione strumentale che intendiamo noi (ovvero con la voce che noi percepiamo come uno strumento, non comprendendo significanti, significati e i relativi costrutti), provate a pensare a cosa succederebbe se cogliessimo i messaggi che ci vengono affidati. Solo in qualche caso ci cadrebbero le braccia, perché sono certo che tra i nostri beniamini stranieri qualcuno si rivelerebbe l’equivalente di un nostro Baglioni nel descrivere così sdolcinatamente le storie d’amore in prima persona.
Per il resto, correremmo a osservarci allo specchio mentre pronunciamo le frasi delle canzoni con maggiore rispondenza nella nostra anima e nel nostro intimo. Già vi vedo correre a mettere l’ellepi di Heroes e a cantare “We’re nothing, and nothing will help us” forti di questo nuovo superpotere frutto di un episodio biblico mai visto prima, una sorta di torre di Babele al contrario dove noi miseri uomini veniamo sì dispersi sulla terra con le nostre lingue confuse a causa della nostra presunzione, ma allo stesso modo ci resta ben impresso nel cervello quell’algoritmo che ci svela il modo per decodificare all’istante quelle non nostre e che, alla fine, ci convince che è meglio darci alla musica inglese, anzi, al rock inglese, perché in coscienza siamo consapevoli che non vogliamo più sentire testi in italiano perché non vogliamo sapere la verità.