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Il Ritratto di Dorian Gray
Oscar Wilde
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07/09/2020
Oscar Wilde
Il Ritratto di Dorian Gray
A distanza di tempo quest’opera continua ad essere attualissima, proprio per questa diatriba mai risolta tra l’apparire e l’essere, tra la forma a la sostanza, come se bisognasse necessariamente eleggere un vincitore. Come se esistesse qualche legge che impedisce di apprezzare il bello per ciò che è. Come se l’estetica non potesse (o non dovesse?) vincere sull’etica: “Eletti sono coloro ai cui occhi le cose belle significano soltanto bellezza.”

“In Dorian Gray ogni uomo vede i propri peccati.
Quali siano i peccati di Dorian Gray nessuno lo sa.
Li ha commessi colui che li trova.”

(Da una lettera di Oscar Wilde del 1890 al direttore dello Scots Observer)

 

Quando Il ritratto di Dorian Gray apparve per la prima volta nel luglio del 1890 sul Lippincott’s Monthly Magazine, non sfuggì all’occhio attento dei critici dell’epoca che giudicarono l’opera oscena e immorale, in particolare per le allusioni omosessuali. All’epoca, infatti, l’omosessualità era considerata indecente: veniva “tollerata” in privato, lì dove nessuno poteva vederla, ma perseguita legalmente, qualora scoperta.

Lo stesso Oscar Wilde, infatti, qualche anno dopo la pubblicazione del suo libro, subirà un processo per la sua relazione con Lord Douglas a conclusione del quale verrà condannato per omosessualità a due anni di lavori forzati (1895). Durante il processo, alcuni stralci de Il ritratto di Dorian Gray vennero letti e utilizzati contro di lui, come prova della sua omosessualità e della sua pericolosità morale.

Come si accennava, all’epoca della sua pubblicazione, il romanzo venne descritto con aggettivi poco lusinghieri e offensivi che si riflettevano inevitabilmente anche sul suo autore. In particolare, il Dai­ly Chro­ni­cle lo definì come “pre­gno di odo­ri me­fi­ti­ci di pu­tre­fa­zio­ne mo­ra­le e spi­ri­tua­le”, mentre un critico del St. James’s Gazette scrisse che doveva essere dato alle fiamme.

Oscar Wilde (Dublino 1854 – Parigi 1900) difese strenuamente la sua creatura, la sua arte e l’indipendenza dello scrittore da ogni forma di morale, rispondendo puntualmente a ogni critica, attraverso uno scambio epistolare molto acceso con le testate giornalistiche, in particolare con la già citata St. James’s Gazette e con lo Scots Observer.

Nel 1891, a dispetto della polemica, una piccola (e assai coraggiosa) casa editrice, pubblicò la nuova versione del romanzo rivisto in vari punti, con l’aggiunta di 6 nuovi capitoli e di una prefazione che voleva essere una ulteriore e definitiva risposta di Wilde a tutte le critiche ricevute: “Eletti sono coloro ai cui occhi le cose belle significano soltanto Bellezza. Non esistono libri morali o immorali. I libri sono scritti bene, o male. Questo è tutto.

La critica, in seguito alla seconda pubblicazione, fu meno dura e ci fu chi, come Yeats, lo definì un libro meraviglioso.

In effetti, Il ritratto di Dorian Gray è un libro meraviglioso, estremamente complesso, oserei dire “stratificato”, perché è sotto la superficie liscia di una trama apparentemente semplice e lineare, che si nasconde il vero significato(i) di questo romanzo, in cui la parola, libera da ogni condizionamento morale, si fa arte, e induce il lettore attento a riflettere sul valore intrinseco della bellezza, perché “la ricerca della bellezza è il vero segreto della vita.

Perché attraverso questo libro, che è un vero e proprio inno all’arte e alla bellezza, Wilde cercò di capovolgere il sentire comune che da sempre tendeva ad anteporre l’etica all’estetica, il contenuto alla forma. La forma che, per come la intendeva Wilde, è bellezza, arte e nutrimento per l’anima. Quella stessa anima che Dorian Gray si ritroverà a “vendere” in cambio dell’eterna giovinezza (e bellezza).

La trama si può riassumere in pochissime parole: siamo nella Londra Vittoriana del XIX, Lord Henry Wotton, nobile, snob, estremamente colto e dal pensiero anticonformista, rimane estasiato dall’ultima opera dipinta dal suo amico Basil Hallward che ritrae, appunto, il bellissimo e giovanissimo Dorian Gray a cui l’artista, nel frattempo, si è molto affezionato: “Harry! Se solo tu capissi che cos’è Dorian Gray per me!”.

Quando Lord Henry propone a Basil di esporre il ritratto, egli si oppone categoricamente “temo di aver rivelato in esso il segreto della mia anima …Senza volerlo, vi ho lasciato qualche segno di questa bizzarra idolatria artistica …il mondo potrebbe intuire e io non voglio mettere a nudo la mia anima davanti agli occhi frivoli e curiosi della gente, né sottoporre il mio cuore al loro microscopio. Vi è troppo di me in quel quadro, Harry – troppo di me!”

Lord Henry, allora, insiste per conoscere Dorian, ma Basil si oppone ancora una volta. Gli dice chiaramente che non vuole che lui lo incontri, perché l’anima di Dorian è pura e bella, ingenua e teme che l’amico, con la sua esuberanza e le sue teorie cariche di eccessi, possa “guastarlo”.

Ma proprio mentre i due sono nel pieno della loro discussione, viene annunciato l’arrivo di Dorian, e così si verifica ciò che Basil temeva di più: l’incontro tra i due.

Il giovane, dopo un intero pomeriggio trascorso a chiacchierare con Lord Henry, rimane affascinato dalla sua personalità prorompente, dal suo pensiero fuori dal comune e dal suo modo di usare le parole come fossero lame, capaci di affondare nella carne e lasciare segni profondi.

Dorian si lascia incantare dalle parole di Lord Henry, che per lui hanno il sapore di un cibo delizioso e stuzzicante, mai assaggiato prima. Lord Henry svezza Dorian Gray e lo convince del fatto che la giovinezza e la bellezza, con la loro intrinseca fugacità, sono l’unico bene da possedere e preservare: “Sappiate apprezzare la giovinezza finché l’avete, non dissipate l’oro dei vostri giorni ad ascoltare gente noiosa, a cercare di migliorare i fallimenti senza speranza, o a buttar via la vita con gli ignoranti, i mediocri, i volgari… Siate sempre alla ricerca di sensazioni nuove, non abbiate paura di nulla… Un nuovo Edonismo… potreste esserne voi il simbolo visibile.”

E così Dorian, nello studio di Basil, con lo sguardo fisso sul quadro che gli rimandava la sua splendida immagine, mormorò “Che tristezza! Diventerò vecchio, orribile, spaventoso, e questo ritratto rimarrà per sempre giovane, come in questo giorno di giugno… se potesse essere il contrario! Se fossi io a rimanere giovane in eterno, e il ritratto a invecchiare!... Per questo – per questo – darei qualsiasi cosa! …La mia stessa anima!”

Doran Gray baratta la sua anima (ma con chi, poi?) in cambio dell’eterna giovinezza. Dorian gode della vita, dei suoi piaceri, della sua bellezza, prende a piene mani tutto ciò che desidera senza scrupoli e consuma tutto ciò che tocca e intanto tutto, attorno a lui, sfiorisce e la sua anima, un tempo bianca e pura diventa sempre più nera e lurida, come se il piacere, unica sua fonte di nutrimento, fosse una colpa o un peccato. La sua condotta immorale si riflette sul dipinto che ha assorbito la sua anima e ne è diventato lo specchio.

Wilde tratteggia una personalità patologica, che oggi definiremmo narcisistica. Un uomo egoista, egocentrico, insensibile, totalmente privo di empatia e pietà, che usa gli altri esseri umani come oggetti, al solo fine di soddisfare i suoi bisogni: “Vorrei poter amare …ma è come se avessi perso la passione e dimenticato il desiderio. Sono troppo concentrato su me stesso. La mia personalità mi è diventata un peso.”

Oscar Wilde è ovunque all’interno del suo romanzo, il suo pensiero affiora attraverso i suoi personaggi, in particolare attraverso Lord Henry e naturalmente Dorian Gray. Ai due si contrappone Basil, che rappresenta la morale: è il grillo parlante, l’artista che ha una visione romantica della vita e dell’arte, che considera la bellezza come un valore astratto e che antepone la coscienza a tutto.

Così, mi chiedo e vi chiedo: è Oscar Wilde ad aver reso immortale Dorian Gray o è il contrario? Dove finisce il personaggio e dove comincia il suo creatore? “È lo spettatore, e non la vita che in realtà l’arte rispecchia.”, ecco perché si può affermare che in ciascuno di noi c’è un po’ di Dorian Gray!

A distanza di tempo quest’opera continua ad essere attualissima, proprio per questa diatriba mai risolta tra l’apparire e l’essere, tra la forma a la sostanza, come se bisognasse necessariamente eleggere un vincitore. Come se esistesse qualche legge che impedisce di apprezzare il bello per ciò che è. Come se l’estetica non potesse (o non dovesse?) vincere sull’etica: “Eletti sono coloro ai cui occhi le cose belle significano soltanto bellezza.”

Purtroppo, progresso e libertà di pensiero difficilmente viaggiano di pari passo. C’è sempre una sorta di morale nociva e tendenzialmente distruttiva che aleggia nell’aria, oggi, forse, più faziosa, subdola e capillare di un tempo, che investe molteplici ambiti e che, per forza di cose, tenta di condizionare il pensiero delle masse (intesa come moltitudine di persone), perché c’è sempre qualcuno che, in piedi sul proprio pulpito, si arroga il diritto di giudicare gli altri e dettare linee di condotta o di pensiero. Il così detto pensiero omologato.

È innegabile, però, che dietro ogni morale si celano forme di ipocrisia più o meno profonde e che il tentativo (spesso riuscito, purtroppo), di influenzare il pensiero altrui e di limitarne le libertà, spesso e volentieri finisce con l’impattare anche su quelle che sono scelte personalissime dell’individuo che non dovrebbero riguardare in alcun modo gli altri: libertà e orientamento sessuale, religione, procreazione assistita, unioni civili, matrimoni gay e via dicendo.

La verità è che ci sarà sempre un Oscar Wilde da mettere sotto accusa, perché si sa che smuovere le coscienze nel tentativo di dar vita a un cambiamento o semplicemente per affermare il proprio punto di vista comporta sempre dei rischi, ma ne vale la pena. Eccome se ne vale la pena!

E se è vero, come diceva Oscar Wilde, che “L’arte è inutile perché il suo scopo è semplicemente quello di creare uno stato d’animo. È superbamente sterile, e la nota del suo piacere è la sterilità.”, bè, allora che ben venga tutto ciò che è inutile!

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