Costruire l’immagine perfetta di sé per riaffermare di volta in volta il concetto dell’arte come finzione, interpretare un personaggio e recitare una parte nel grande palcoscenico della vita o del music business, se preferite. L’alternativa è scegliere di chiamarsi “Qualunque” e scrivere le proprie canzoni sotto questo monicker, utilizzando una costruzione che di fatto, più che costruire ti mette a nudo, rivelando inquietudini e paure ma, allo stesso tempo, lasciando intravedere la possibilità che tutto questo sia comunque una costruzione.
Costruito o no (io non credo comunque che lo sia), Luca Milani dimostra innanzitutto che scrivere canzoni non è per forza di cose un vezzo da artista ma è un’attività alla portata di chiunque, un mezzo espressivo che occorre semplicemente aver voglia di utilizzare, di abbracciare.
“Più simili ad Hannibal Lecter che a Gesù Cristo”, questo il titolo di un Ep autoprodotto passato quasi sotto silenzio ma a disposizione di tutti su YouTube, ha rappresentato il suo esordio discografico. Una scrittura acerba ma disarmata e leggermente caustica, perfezionata successivamente nel primo e finora unico full length “Mafalda, il meteo e tutto il resto”, riferimento non casuale alla celebre saga di Douglas Adams per un lavoro che cercava di mettere in musica paure e paranoie e, magari, anche di trovare un qualche modo per uscirne.
Arriverà un secondo disco prima o poi ma nel frattempo “Il primo lunedì dell’anno” costituisce un ottimo modo per verificare la tenuta del progetto Qualunque.
Tenuta che, lasciatemelo dire, mi pare più solida che mai. Il miglioramento è netto sin dalla produzione, affidata a Davide Lasala (noto soprattutto per il suo gran lavoro con Giorgieness) che si occupa anche delle chitarre, donando così al suono una potenza e uno spessore che in precedenza erano mancati. Miglioramento anche dal punto di vista della scrittura: non c’è nessuna svolta radicale ma questi quattro pezzi sono probabilmente i migliori che Luca abbia mai composto.
Intimismo cantautorale e istinto rock sono coniugati qui al meglio in un lavoro che gioca in maniera sapiente con vuoti e pieni (è il caso della traccia d’apertura “Caffè con il Cynar”) e che azzecca le melodie con una facilità notevole (“Binario” e “Stasera la luna” da questo punto di vista sono autentici gioiellini).
Testi come sempre bellissimi, in bilico tra ironia, disincanto e disillusione, non senza una qualche forma di interrogativo sul perché si sia arrivati a questo punto, sul perché una generazione (quella degli attuali trentenni) che si era affacciata sul mondo sull’onda delle migliori aspettative, protetta da una qualità di vita forse senza precedenti, sia ora così confusa sulla propria identità e ancora arrancante alla ricerca di una strada.
C’è la dicotomia tra la realtà e le Serie Tv (“Caffè con il Cynar”) durante “giornate atomiche” dove si sarebbe pure portati a credere in Dio, non fosse che, come nella più classica poesia di Montale, l’illusione crolla e rivela una “stupida realtà”.
C’è il senso di impotenza e di inadeguatezza che ci coglie nel momento in cui ci rendiamo conto che certe circostanze sono più grandi di noi (“Panico”) e allora si sogna di tornare all’infanzia, quando bastava che si fosse assieme ai genitori e andava tutto bene.
C’è una lettera d’amore ad una ragazza che non si capisce se ci sia o non ci sia ancora, qualcuno con cui si è condiviso un pezzo di vita, con cui ci si è aspettati ma che, è un dubbio che paralizza ma che non si può levare “Non so se hai ancora bisogno di me” (“Binario”).
C’è, infine, il pezzo più bello dei quattro, “Stasera la luna”, struggente dichiarazione d’amore che prende le mosse dalla difficoltà di esistere, dal fatto che ci sono giorni in cui neppure la bellezza del reale sembra bastare ma che stringendosi assieme forse ce la si potrà fare.
Tutto questo cantato con una voce aspra, a tratti sgraziata ma anche fin troppo sincera, disarmata; il tono di chi non ha nulla insegnare agli altri ma prova nel suo piccolo a mettere in comune un piccolo pezzo del proprio vissuto, nella speranza che possa essere utile a qualcuno. Da questo punto di vista, la dimostrazione che si può fare musica “Indie” senza per forza avere quella finta umiltà di chi ostenta inesperienza e intanto vuole insegnarti a vivere.
Non sarà il più grande artista apparso in Italia negli ultimi vent’anni ma le canzoni di Luca Milani fotografano il vissuto di una generazione con molta più fedeltà e precisione rispetto a tanti nomi ben più blasonati. Ascoltatelo e capirete.