Cantori del disagio delle persone ai margini, i Niet hanno fatto la storia del punk rock sloveno anni Ottanta e Novanta. In vista del live al Teatro Miela di Trieste del 25/04, ne ripercorriamo la storia e il significato grazie ad una retrospettiva di Mitja Stefancic.
Tra nichilismo e grinta: il post-punk riflessivo degli sloveni Niet
I Niet sono una band stilisticamente diversa ma non meno importante dei connazionali Laibach. Una band che potremmo definire come la punta di diamante di quel punk-rock sloveno che nel corso degli anni Ottanta e Novanta è risultato così differente a confronto di altre espressioni e manifestazioni del punk in altri contesti europei.
Cantori del disagio delle persone ai margini, hanno recentemente sancito la loro rilevanza con la pubblicazione dell’eccellente raccolta Pa tako lep dan je bil 1984-2024, che propone le tracce più rappresentative della loro carriera pluriennale. In occasione della Festa della Liberazione, a quarant’anni dal primo live in terra giuliana, saliranno sul palco del Teatro Miela di Trieste per ripresentare quei pezzi, tanto grintosi quanto riflessivi, che spingono a guardare nel profondo l’animo umano.
Un grido adolescenziale verso un mondo troppo grigio
Il socialismo jugoslavo aveva dei pregi e dei difetti. Tra i pregi c’era sicuramente un senso collettivo, radicato nei cittadini, del rispetto per il bene comune (che andava socialmente preservato a favore delle future generazioni). I giovani avevano ampie opportunità di dire la loro, venendo sovente ascoltati. Tra i difetti, perlomeno negli anni Ottanta, vi era una cultura percepita come poco coinvolgente, carente di stimoli e troppo scolorita.
In tale contesto, in una Lubiana molto diversa da quella odierna, un gruppo di adolescenti ribelli ha deciso di formare un complesso musicale per dare sfogo alle insoddisfazioni di una generazione e raccontare l'alienazione fattuale delle persone ai margini della società socialista. Nel 1983 erano così stati fondati i Niet, inizialmente composti da Igor Dernovšek alla chitarra, Aleš ?ešnovar al basso, Tomaž Dimnik alle batterie e Primož Habi? al microfono (coadiuvato dalla cantante Tanja Ukmar nelle apparizioni dal vivo).
Riguardo la scelta del nome, Igor Dernovšek ci ha raccontato in esclusiva: “ci siamo incontrati con gli altri membri, ognuno ha suggerito un nome, e abbiamo votato. Il nome Niet, che è un derivato del russo Njet (No), ci è sembrato appropriato per un gruppo punk: spesso ci vuole coraggio a di dire No. Infine, abbiamo scelto lo spelling Niet al posto di Njet perché ci piaceva di più dal punto di vista visivo”.
A settembre del 1984 l’ensemble ha inciso con la casa discografica Galerija Škuc il primo lavoro, intitolandolo Sre?na mladina (“Gioventù felice”). Il titolo fu ironico, volutamente in contrasto rispetto al senso di frustrazione e malessere che traspariva nei testi e al tipo di performance che i Niet portavano sui palchi in quel periodo: esibizioni dal vivo brevi, poco armoniose e particolarmente incisive, come a voler dimostrare al pubblico che non c’era ragione alcuna per gioire.
La cassetta fu distribuita nella versione originale in appena 200 copie. Sarà stato proprio per la tiratura limitata che negli anni seguenti divenne una delle cassette più copiate nella storia della musica alternativa ex jugoslava. Ciò nonostante, i Niet hanno saputo catturare l’immaginario giovanile collettivo, considerando, peraltro, che nel 1984 vennero introdotti sul palco del rinomato festival Novi Rock come “la principale attrazione della nuova scena musicale lubianese”.
Nel 1985, in un’Europa ancora fortemente divisa in due blocchi distinti, il complesso, capitanato da Habi?, ha intrapresero una tournée europea, suonando in città importanti come Parigi da un lato e, dall’altro, nelle principali città dell’ex Jugoslavia (Zagabria, Sarajevo, Belgrado) nonché in diverse località della costa dalmata. Risalgono a quel tempo due successi: "Vijolice" (“Violette”) e "Februar" (“Febbraio”).
Proprio in quel periodo i Niet si sono presentati pure a Trieste, gridando al microfono, appena prima di salire sul palco, la celebre frase: "Il disco è finito – il punk comincia!" (l’affermazione è diventata leggendaria in quanto presente sull'album dal vivo Niet Live, registrato in parte proprio in occasione della tappa triestina).
Lo stile: un punk riflessivo
Per varie ragioni sarebbe fuorviante relegare i Niet a un gruppo punk o post-punk come tanti. Innanzitutto, va considerata la matrice culturale che, per quanto indipendente e radicata nel contesto alternativo, presentava in Slovenia delle peculiarità significative. A differenza di quel che succedeva in altri contesti europei, in cui il punk era una forma di ribellione il cui scopo era decretare la fine di ogni autorità e, dunque, dello Stato, la sottocultura alternativa slovena aveva come obiettivo piuttosto lo sviluppo di prospettive migliori per le giovani generazioni.
L’insoddisfazione, veicolata musicalmente, non era fine a sé stessa, bensì fungeva da critica alla politica ufficiale e alla società jugoslava, per sottolineare che delle alternative migliori erano concretamente a portata di mano. Di norma, il sistema jugoslavo ha ampiamente tollerato queste forme di dissenso giovanile. Dall’altro lato, gli stessi giovani erano, forse, mediamente più attenti alle espressioni di disappunto dei coetanei, alle manifestazioni di disagio sociale, tant’è vero che a Lubiana complessi punk e new wave potevano tranquillamente calcare i palchi dei principali luoghi di cultura, talvolta persino davanti a svariate migliaia di persone.
Un altro elemento che contraddistingue i Niet è lo spessore poetico di alcune canzoni, che potremmo definire come l’espressione di un punk riflessivo. Al centro dei brani del primo periodo troviamo tra i leitmotiv una profonda riflessione sulla condizione umana delle persone, caratterizzata dalla necessità di lottare in un mondo deciso a spegnere le loro speranze, l’alienazione delle persone poste ai margini, la ricerca dell’amore, ma anche l’inefficacia delle rivolte, dato che, per citare alcuni versi del brano "Ritem ?loveštva" (“Il ritmo dell’umanità”), “silenziosamente ogni ribellione si trasforma in rivoluzione / la rivoluzione porta con sé il nuovo ordine”.
Se da un lato la musica dei Niet risuonava al limite dello stile hardcore, dall’altro i testi delle canzoni rimandavano ai temi esistenziali che erano usualmente concepite e valorizzate soprattutto dai gruppi post-punk e new wave. Ad esempio, le strofe della canzone "Depresija", scritta originalmente nel 1984, recanti “preso, in lacrime, in un angolo, da solo alle prese coi pensieri, solo in mezzo alla gente”, non possono non rievocare direttamente i versi iniziali di "Open" (1992), firmati dai Cure di Robert Smith: “I really don't know what I'm doing here/ I really think I should've gone to bed tonight but/ Just one drink…”.
Il culto intorno ai Niet
I Niet si sciolsero momentaneamente nel lontano 1988, ad un anno dal crollo del Muro di Berlino, quando alcuni membri furono chiamati a espletare gli obblighi di leva militare. Nell’autunno dello stesso anno il gruppo smise ufficialmente di suonare, stando alla testimonianza di Igor Dernovšek, “per mancanza di volontà di continuare”. Ma quel che seguì fu veramente drammatico. Nel 1991, in una giornata primaverile, il cantante Primož Habi? si spense prematuramente, in maniera a dir poco tragica, a causa di un’overdose di eroina. Quel pomeriggio, una delle voci più carismatiche, grintose e squisitamente malinconiche della musica slovena, si è spenta per sempre.
Le canzoni dei Niet, pervase da un genuino spirito ribelle e da testi che evitano qualsiasi compromesso, sono rimaste impresse nel cuore e nella mente dei giovani che hanno riconosciuto nella loro musica dei messaggi forti ed universali. Forse l’esempio più celebre rimane il brano più amato della compagine slovena, "Lep dan za smrt" (“Un giorno troppo bello per morire”), che può essere interpretato come un vero e proprio inno contro le guerre, e che rimanda alle atmosfere del poeta polacco Tadeusz Ró?ewicz.
Come ci ha spiegato Dernovšek, paradossalmente, a seguito del primo scioglimento, la visibilità della band nel contesto musicale sloveno è persino aumentata, soprattutto nel corso degli anni Novanta: “all’interesse generale hanno contribuito la tragica morte di Primož Habi? e le molte leggende costruite attorno al nome Niet in quel periodo. Non per ultimo, anche il successo del grunge, con i Nirvana in testa, hanno aumentato l’interesse verso il repertorio musicale dei Niet. La popolarità non ha intaccato minimamente lo status di band di culto di cui godiamo”.
Dopo alcuni momenti difficili nel corso della carriera, la compagine si è ricostituita, tornando sulle scene in maniera definitiva nel 2008, con un gruppo rinnovato, ma altresì coeso e contraddistinto dalla stessa determinazione degli albori e, soprattutto, con l’eccellente Borut Marolt al microfono.
“Finisce la disco, (ri)comincia il punk!”: dopo 40 anni il ritorno a Trieste
Continua tuttora il percorso artistico della band, focalizzato sulla comprensione del dolore umano, ma con una maggiore consapevolezza rispetto ai primi anni della carriera. Con gli anni i Niet hanno raggiunto un buon livello di maturità compositiva e artistica. Si può dire che il nichilismo presente nell’opus del gruppo è diventato più tenue, lasciando più spazio alla speranza verso una società migliore, capace di rispettare i sogni delle giovani persone, ma nel contempo anche – per ammissione dello stesso Dernovšek – “più rabbia nei confronti del mondo in cui ci ritroviamo a vivere e l'incapacità di cambiare in meglio le cose”.
Recentemente i Niet hanno festeggiato quattro decenni di viaggi musicali. L’evento clou è stato il concerto di Lubiana del 24 maggio 2024, in un Teatro Križanke sold out, a dimostrazione che la loro popolarità non è affatto diminuita nel corso degli anni. Durante i primi mesi del 2025 la formazione si è altresì dedicata ad un tour acustico dal titolo V bližini ljudi (“In prossimità della gente”).
Il 25 aprile, in una data dal valore simbolico, il gruppo farà visita al Teatro Miela, calcando il palco triestino per la terza volta nella sua longeva carriera, a quarant’anni dal primo concerto, che viene così ricordato da Dernovšek: “nella circostanza abbiamo suonato su invito del Partito Comunista italiano, con la proposta che ci è arrivata direttamente a Lubiana. Della serata di quarant’anni fa ricordo che ci hanno portato del cibo – delle pizze. Abbiamo finito la birra subito. Non ho ricordi vivi del concerto in sé, se non che la risposta del pubblico, come nelle altre date di quel tour, era buona. Anche quando non ci riusciva di suonare bene, il nostro stile e il genere di musica che proponevamo riuscivano a catturare l’attenzione del pubblico. I nostri brani hardcore sono stati molto apprezzati anche dal pubblico giuliano”.
Tra i pezzi più celebri che saranno con ogni probabilità proposti durante la serata triestina, vanno menzionati "Izob?eni" (“Gli emarginati”), "Melanholija" (“Malinconia”), "Tvoje o?i" (“I tuoi occhi”), "Zastave" (“Bandiere”), "Februar" (“Febbraio”), "Sam" (“Da solo”), "Vsak dan se kaj lepega za?ne" (“Ogni giorno è l’inizio di qualcosa di bello”), "Ona" (“Lei”), e la bellissima "Lep dan za smrt" (“Una bel giorno per morire”), un vero inno contro le guerre, che rimanda, come detto, alle atmosfere del poeta polacco Tadeusz Ró?ewicz.
Nella serata del 25 aprile il pubblico che sarà presente a Trieste avrà così modo di ascoltare dal vivo sia i brani del primo periodo sia quelli degli ultimi lavori, tutti contenuti nell’album uscito l’anno scorso col titolo Niet – Pa Tako Lep Dan Je Bil 1984-2024 (“Niet - Ed era una giornata così bella 1984-2024”). Vuole essere una serata di festa, adatta sia ai cultori più convinti del punk sia a chi predilige i suoni à la Cure, The Jesus and Mary Chain e i primi Litfiba.