Queste righe possono sembrare meno serie del reale.
A mia memoria, comincio con un ricordo quasi d’infanzia e pertanto di circa 40 anni fa: la mania – innocua tranne per la non correttezza in Italiano – di rendere al singolare “pantalone” il plurale pantaloni da parte di qualche commesso/a di negozio di abbigliamento.
Ma era già un cedimento.
Gli anni Settanta del secolo scorso furono piuttosto tranquilli, semmai con la diluizione (allora si diceva “inflazione”) di espressioni colte, delle quali il paradigma massimo rimane “nella misura in cui”, usualmente ucciso nello stesso periodo da “cioè”.
Il decennio successivo portò tecnologia e pessimi neologismi: per tutti la “videata” a significare una pagina (ma quale?) riprodotta sullo schermo del computer.
Intanto l’uso del congiuntivo cominciava a vacillare.
Grottesco in quegli anni anche il sorgere e proliferare dell’anglismo “il big boss” (per “il capo”). Con il senno di poi era uno dei primi segnali della tendenza a neutralizzare (evitare?) le difficoltà o anche solo la banalità mediante l’estraniamento linguistico.
L’accelerazione negli anni Novanta si fa incontrollabile, e quindi esemplifico minimamente: “buona giornata/serata” al posto di “buon/a giorno/sera” (forse parevano antiquati?). “Ciao bello/a” rivolto a chiunque e senza alcun senso (basta “ciao”) suona come uno slogan per vendere gelati. “Come va? Tutto bene?” cui fa seguito il discorso di chi lo ha chiesto, ma non ascolta la risposta dell’interlocutore: finta cortesia e paura di veder perforato il proprio umore? Si noti che il “come stai?” è più impegnativo perché più diretto…
Arriviamo così al mostro alcolico (mi risparmio quanto all’uso dissennato di espressioni quali “movida” o “happy hour”): il “Caipiroska alla fragola”, doppia devianza sul Caipiriña, il quale già non è un cocktail di rango “mondiale” (per esprimermi secondo AIBES[1]). Altri orrori etilici sono prossimi (“dietro l’angolo” avrebbe detto Maurizio Costanzo qualche lustro prima?).
La fine dei plurali stranieri declinati correttamente in Italiano (cioè mantenendoli al singolare) è affidata a: “murales” al singolare, “geishe” (fortunatamente non ci sono “karateki”, per ora), etc.
Per gli anni Duemila e il contemporaneo quasi nulla scappa al massacro del neologismo ottimista con pretesa seria (di chi lo usa).
Quindi ci si “ri-aggiorna” nell’arco di ore: credo che l’errore sia addirittura doppio.
Lo schifo totale lo provo con la parola – inesistente – “scannerizzazione” a indicare una procedura nota e dotata di termine in Italiano ben prima dello scanner. Si badi che essa non è nemmeno – pur se ciò non lo giustificherebbe (semmai “scanning”?) – utilizzata come sinonimo di scansione (appunto), bensì come termine proprio.
Nel frattempo il congiuntivo è quasi morto.
Facciamo però una “piccola pausa”: ecco allora “buon week-end” (evidentemente il “fine settimana” è riduttivo) perché sono “stressati” e devono “staccare”.
Le “criticità” sono figlie delle “tipologie”.
Infatti il commerciante ha scoperto che “tipologia” suona molto bene (meglio di “categoria”), resta generico e quindi dicendo poco illude meglio: l’acme è raggiunto sulle tipologie abitative o di viaggio (con il risultato che certo alberghi a 4 stelle esteri sono delle topaie: in effetti non erano dei 4 stelle ma di “tipologia 4 stelle”).
Sta bene, ma quando si passa da “problema” a “problematica” il gioco è più sottile.
Non solo: chi risolve una problematica è un esperto, non lo è chi risolve un problema[2].
Siccome anche “problematica” suona come una difficoltà, si arriva alla “criticità”, un termine sufficientemente astratto e serio al tempo stesso, sempre con possibilità per chi la risolve di vantarsene in modo esagerato e serioso (curiosamente, poi, parlano però di “problem solver”, misteri dell’approssimazione dell’Inglese).
Ed ecco che non si muore più! Si “scompare”, si “lascia”.
Ai funerali la gente si veste male, applaude, fa cose stupide; meglio ancora, le esequie diventano “addio” anzi “ultimo addio” (quale sarebbe il penultimo?). Senza dimenticare “piccola folla” e “grande Kermesse”.
È possibile “morire” solamente in situazioni che si vorrebbero paradossali tanto sono ammantate di “buono”: lo “shopping”, dopo una notte di “movida”, eccetera.
Mia madre ancora “va a fare la spesa”; io se devo andare a comprare un paio di scarpe vado a comprare le scarpe (volendo posso “andare a far compere”).
Mi pare che le “criticità” linguistiche non lascino scampo.
Qualcuno dirà “’sti c***i”, ma qualcun altro, preoccupato, esclamerà “me c****i”. Sempre che sia loro – se non laziali, territorialmente parlando – nota la differenza fra queste due espressioni, ovviamente.
[1] Associazione Italiana Barmen e Sostenitori. Anche il Martini non è perfettamente in salute e, per fare un testa coda con la nota successiva, mi rendo conto che talvolta il Negroni è chiesto molto pallido, troppo.
[2] Ma qualora l’idraulico non venisse (cfr. Carlo Fruttero in Fruttero & Lucentini, L’idraulico non verrà, Milano, Mario Spagnol Editore, 1971; ristampato da Il melalogo di Genova nel 1993) sarebbe davvero un problema!