Cerca

logo
MAKING MOVIESAL CINEMA
Il Nastro Bianco
Michael Haneke
2009  (Lucky Red)
DRAMMATICO
all MAKING MOVIES
08/03/2019
Michael Haneke
Il Nastro Bianco
Haneke non ci mostra mai la violenza, in fondo anche nella Storia non è ancora scoppiata in tutta la sua furia, ce la lascia solo intendere, l'atto prepotente rimane chiuso dietro una porta, in una stanza alla quale non abbiamo accesso, oppure è già accaduto e ne vediamo solo le conseguenze.

Sebbene semplice nella costruzione, Il nastro bianco è un film sul quale è necessario riflettere, anche a posteriori, per cogliere appieno il lavoro intellettuale che il regista e sceneggiatore Haneke ha elaborato per la stesura dell'opera che a una prima visione, magari superficiale, potrebbe risultare meno stratificata di quel che in realtà è. Nello sviluppo del film non c'è nulla di incomprensibile, anzi, è tutto abbastanza semplice e lineare, magari finanche un po' noioso; è nelle metafore, nel significato che va ricercato il senso del lavoro del regista, un significato che pur se indubbiamente interessante, non basta a garantire al film lo status di capolavoro che da alcuni gli è stato tributato (Il nastro bianco ha vinto la Palma d'oro a Cannes, ciò nonostante mi ha lasciato qualche perplessità, un po' come mi è accaduto di recente con la visione di Roma di Cuarón). Il problema di film come questi, anche molto validi e interessanti se analizzati con la dovuta calma, è che rischiano di far cadere nel tedio lo spettatore, cosa che non accade durante la visione di opere molto più impegnative (e penso al primo Heimat di Edgar Reitz ad esempio) ma meglio riuscite.

Siamo alle porte della Prima Guerra Mondiale in un paesino della Germania del nord, le prime avvisaglie della Grande Guerra ancora non si avvertono nella piccola comunità di cui ci racconta la voce narrante, una voce che proviene dal futuro rispetto alla vicenda a cui stiamo per assistere; è la voce del maestro del villaggio (Christian Friedel), ormai vecchio, che ricorda alcuni accadimenti legati alla sua gioventù. Nel paese in questione, solitamente tranquillo, iniziano ad accadere dei fatti insoliti, primo tra questi la caduta da cavallo del medico del paese (Rainer Bock): la sua cavalcatura inciampa in una corda tesa tra due alberi provocandogli ferite che lo costringeranno a un periodo di lontananza, ospite dell'ospedale della città più vicina. In seguito gli episodi strani e violenti si succederanno con una certa frequenza: bambini picchiati e umiliati, infanti trovati quasi assiderati, suicidi, incendi... insomma il tranquillo borgo diventa un posto non troppo rassicurante. La violenza, perpetrata e subita, che poi è il cardine su cui ruota la riflessione di Haneke, coinvolge tutti, adulti e bambini, tutti vittime (in special modo le donne), tutti carnefici in qualche maniera; sono i prodromi di quello che sarà il cambiamento di un intero Paese che nel corso delle due Guerre Mondiali, appena di là da venire, trascinerà in un'ondata di caos e violenza l'intera Europa. Quegli abitanti, gretti e meschini, il loro esempio sulle generazioni in formazione, sono lo scheletro del futuro Paese, sono la metafora con cui il regista ci mostra cosa sono stati capaci di creare sopruso, odio e sopraffazione. L'unica scintilla di speranza sembra essere data proprio dal giovane maestro, un animo candido, insieme a quella che potrebbe diventare la sua futura moglie, la bambinaia Eva (Leonie Benesch).

Haneke non ci mostra mai la violenza, in fondo anche nella Storia non è ancora scoppiata in tutta la sua furia, ce la lascia solo intendere, l'atto prepotente rimane chiuso dietro una porta, in una stanza alla quale non abbiamo accesso, oppure è già accaduto e ne vediamo solo le conseguenze. La messa in scena è pudica, la scelta di un bianco e nero dal sapore antico ci porta in maniera naturale ai primi decenni del Novecento, un'epoca in cui l'autorità era sopruso, la religione era sopruso, i legami paterni erano sopruso, l'uomo, il maschio era spesso sopruso. Certo, non sempre, ma Haneke sembra metterci in guardia e ricordarci che i semi della tragedia possono crescere dai piccoli atti storti, sempre pronti a ingrandirsi e crescere a dismisura. Tutto questo ci viene narrato con lentezza, forse troppa, con rispetto e con un uso della regia delicato e graziato da una fotografia sul bianco e nero incisiva ma mai artificiosa. A pensarci bene Il nastro bianco (che nel film rappresenta la purezza) è un'opera di valore che certamente ha il suo perché, sarebbe bello che opere di questo tipo un po' più spesso non ci costringessero a combattere con Morfeo e i suoi scagnozzi: i colpi di sonno!