Charlie Watts.
Il n. 12 sulla schiena
Tutto il mondo piange Charlie Watts. Mi associo alla perdita dell’essere umano.
Dopo l’unanime, universale, profluvio di orazioni funerarie magnificanti, un sacco di gente ha pensato “però, se all’unità di misura della Potenza hanno dato il suo nome deve essere proprio stato un grande”.
di Andrea C. Soncini
No, non si tratta della stessa persona: quello era James Watt, inventore scozzese.
Charlie Watts era il batterista di una delle più grandi band di sempre del rock’n’roll. Per lo meno in fatto di fama. Talmente originali che c’è voluto Peter Gabriel per dare una svolta artistica/surreale a uno dei loro massimi cavalli/dischi di battaglia: It’s Only Rock’n’Roll che il cantante dei Genesis ha storpiato in It’s Only Knock and Knowall elevandolo a qualcosa di categoria superiore. Ammantando di nobiltà surreale il rock più convenzionale che esista.
Ma che io non comprenda la grandezza di Charlie Watts nello specifico è solo colpa mia. Nessun dubbio. Sparate pure sul pianista.
Wikipedia ricorda che Rolling Stone, l’autorevole rivista, piazza il Rolling Stone batterista al n. 12 della Lista dei 100 migliori batteristi. Caspita, il n. 12 dei più grandi batteristi di tutti i tempi e di tutti i generi è un traguardo assolutamente ragguardevole. Nella mia personale lista, prima ne vengono almeno un milione. Molti dei quali capaci di scrivere musica. Di cercare ‘nuove strade’, accoppiata di parole che quasi mai fanno rima col trittico ‘hit da classifica’.
Ma Rolling Stone certifica che nella Lista dei 100 migliori batteristi – pensate – Buddy Rich viene al n. 15 e Tony Williams al 19.
Inserire Buddy Rich dietro a Watts è come dire, in ambito calcistico, che Robert Lewandowski che non devo stare a raccontare chi è deve cedere il passo nella lista dei centravanti di rango a Gianluca Lapadula, bomber del Benevento.
Per quanto riguarda Tony Williams, invece, basterebbe ricordare che a 17 anni – età nella quale la maggior parte di chi si mette alla batteria è indeciso se sedersi sul rullante, sul tom o su quell’altro strano tamburo nero con tre piedi che in fin dei conti suona così male –, nel 1961, il ragazzo prodigio diventa pedina fondamentale del quintetto di Miles Davis e amplia gli orizzonti dello strumento. Gli avessero innestato le quattro braccia e le quattro gambe di Brahma, la divinità indiana, a Watts, non sarebbe arrivato a esprimere la metà del lavoro compiuto da Williams.
Dice, ma la tecnica non è tutto. Garantito. Ma se possiedi la tecnica sarai in grado di fare (anche) cose straordinariamente semplici, invece che semplicemente banali.
Molti fan della band rappresentata da Mick Jagger nei loro epitaffi hanno pensato di tributare grande onore a Watts definendolo il metronomo dei Rolling Stones: tic, tac, tic, tac, tic, tac. La vecchia pendola nel salotto della nonna: tic, tac, tic, tac, tic, tac. Che ritmo!
Panorama però non è d’accordo e rilancia: “Un genio del ritmo”, scrive.
Come definiranno Billy Cobham (n. 45 della lista di RS, la rivista), costoro che ne sanno, quando il funambolico batterista di colore passerà a miglior vita?
Domanda oziosa: non ne noteranno la mancanza.
La Repubblica scrive che Watts “è stato soprattutto un musicista jazz (...) devoto seguace dei grandi della batteria come Max Roach e Elvin Jones, grande bandleader di orchestra, quintetti, tentetti, formazioni varie”. Elvis Jones viene al n. 23 e Max Roach in classifica non c’è proprio. In compenso non mancano Meg White dei White Stripes o Maureen Tucker del Velvet Underground. Una barzelletta.
Facciamo un veloce calcolo: registrazioni a nome Rolling Stones – singoli, EP, Lp etc. – 250 circa; registrazioni a nome proprio – quintet, tentet, orchestra, band – 10. 25 a 1. Eppure, Watts è SOPRATTUTTO un musicista jazz. Tributi a Charlie Parker e altri grandi del jazz nel quale la batteria è strumento di contorno. Ascoltare per credere. Un passatempo per ricchi sfaccendati.
Del resto la morte di Charlie Watts, per tutte le vedove improvvisate ha una fondamentale, imprescindibile, prerogativa: produrre una quantità enorme di denaro che finirà nelle tasche dei Rolling Stones che restano e della label che ne gestisce il catalogo; a seguito dei dischi della band che riprenderanno a vendere sullo slancio dell’onda emotiva, di dischi tributo improvvisati, di biografie scritte alla velocità della luce, così come per merito di documentari e film.
(Capito cosa determina un “genio” della batteria, anzi del ritmo?).
Infine, last but not least, il giudizio del critico musicale Rob Sheffield – sempre del mitico Rolling Stone – che conia il giudizio definitivo: Watts fu "rock's ultimate drum god".
Ringo, sei fottuto: dovevi schiattare prima. Se ti va bene puoi ambire al n. 2.
E io, di fronte alla sagacia delle migliori testate giornalistiche, a tutti i media uniti nel sentito cordoglio insieme a un esercito di fan in lutto, cosa posso fare se non sposare in toto le parole di una canzone pop ricolma di insospettabile e inusitata saggezza, e in tutta modestia sussurrare: (“Some of them want to use you / Some of them want to get used by you) Who am I to disagree?”.
P.S.: segue uno dei massimi successi dei Rolling Stones, sorretto e sospinto da un innegabile esempio di “genio” ritmico… più o meno…