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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
03/01/2019
VINILI
Il “Micromega” di Ottodix contro il male di questo tempo
“Questa sorta di velato disprezzo che serpeggia nell’aria per tutto ciò che ha la sfacciataggine di occuparsi di temi universali più profondi, di costruzioni di un’opera a più livelli, di densità di significati che variano dall’intrattenimento alle citazioni nascoste, che non inneggi alla quotidianità e a stupidi strazi d’amore da ragazzini, viene tacciato come qualcosa di pesante, di troppo sofisticato, di ridondante e di démodé. Ecco, questo è il vero disagio del mio tempo.”

Come dar torto ad Alessandro Zannier, anche detto Ottodix che alla fine non è un singolo, non è un gruppo, ma bensì voglio prenderlo come concetto. Sono anni che lo seguo e mi lascio inseguire, da quel “Chimera” di trasgressive elettrificazioni computerizzate fino ad oggi in cui, a tutto questo viene tolto appena quel piglio rock distorto (sempre così mi piace descriverlo) per aggiungervi orchestrazioni reali. Che sia il filo teso di violino e viola e violoncello un bellissimo ponte concettuale tra il futuro spietato di qualcosa che non ancora conosciamo e quella scuola antichissima di secoli che a tutto poi darà origine?

Tra le mani giro e faccio girare questo bellissimo vinile di Ottodix. Si intitola “Micromega”. Una ristampa in vinile di quel disco del 2017. E in copertina, ci racconterà lui stesso, è raffigurata questa sua opera che a Berlino, il nostro Zannier, ha esposto al consenso di un pubblico che, come direbbero più voci, non sembra ottuso di cliché e demagogia, eternamente teso a crogiolarsi nelle comodità pop del mainstream industriale. Dunque, “Micromega” è un concetto artistico di luci e installazioni, di suoni e di canzoni, di realtà aumentata sul web ovviamente. E un viaggio visionario che parte dal microcosmo delle particelle infinitesimali e poi si allontana superando 9 livelli (9 canzoni inedite) fino ad arrivare al macrocosmo. Non esisterà un UNIverso ma un “Multiverso”, espressione sintetica di maggiore entropia possibile. Retrogusti sociali dietro descrizioni che affondano in lisergiche visioni di altro. E questo altro il nostro Ottodix ce lo canta e ce lo rende dannatamente concreto. Dunque, a lui (come altri certamente, pochi ma non solitari) il merito di aver sdoganato un linguaggio che, dietro le soluzioni robotiche, affila armi e lingua per lasciarci concetti di vita quotidiana, analogica, comune a tutti, quei tutti che lo stesso Ottodix chiamerebbe i “Micromega Boy”. Che poi alla fine, ragiono per me e dico: che belli ed esteticamente futuristici questi suoni, ma alla fine, con smartphone sempre connessi, non siamo dei perfetti cloni della stessa fantascienza che andiamo mostrando al cinema? Che poi sono il solo ad accorgersi come ormai essa stessa si rivela incapace di inventare qualcosa che non possa essere reale oggi? Dunque, penso proprio che questo sia il vero folk dei tempi moderni.

L’ascolto di questo vinile andrebbe accompagnato dallo sguardo rivolto alle sue installazioni. Di contro abbiamo un progetto web che non va sottaciuto: http://www.micromegaproject.com/

 

Un primate tele-comuni-trasportato nel multiverso. Se solo la smettessimo per una volta di fare della musica solo estetica pop da radioline in sottofondo… certo, è dura fermarsi a ragionare invece di sputare giudizi con le tastiere fumanti, ci vuole impegno per capire… ma se ce l’hanno fatta i primati, possiamo farcela anche noi che abbiamo gli smartphone sempre connessi.

La stampa torna a parlare di “Micromega”. Un disco che ha oltrepassato l’anno di età. E comunque penso proprio che sia destinato all’eterna giovinezza visti i temi trattati, cosa ne pensi?

Che ha quasi due anni di età, caro, e questo corrobora ulteriormente la tua affermazione circa la sua attitudine “sempreverde”. Sì, in realtà per quanto mi riguarda, la grossa rivoluzione che questo album-operazione concettuale (anche nelle arti visive e nel web) ha comportato, è proprio l’avere messo in campo definitivamente un concetto diverso di musica d’autore/pop ed è stato pensato e costruito esattamente per questo. Un album da mettere in scena anche live in qualunque momento negli anni futuri, come una pièce teatrale o una sinfonia classica o una commedia o uno spettacolo. Anche in concomitanza con un altro album nuovo, in promozione. Facendo questo si sublima la forma concept-album in qualcosa di perpetuo nel tuo repertorio, fatto non solo di canzoni da riproporre, ma pure di album. Sto ricevendo interesse e offerte anche per il 2020.

Così come questo nuovo singolo che hai lanciato grazie alla produzione di Flavio Ferri: “Elettricità”, un nuovo “1984” in formato musica. In soldoni, in qualche modo tutto il disco descrive e racconta tanti aspetti sociali che un tempo erano distopie futuristiche ma che ora sono pane quotidiano. 

Guarda, a dire il vero la chiave distopico-sarcastica di lettura critica che ho del social-sociale è divenuta oramai una caratteristica di tutti i miei lavori più recenti, a partire dal 2009 con il singolo “I-Man”, che era, quello sì, precursore. Anche “Micromega Boy”, il primo singolo tratto da Micromega, ha questi toni aspri, ma riferiti alla doppia vita nei social, mentre “Elettricità” lavora sulla tensione sociale più diffusa e gioca con il concetto della sua trasmissibilità e propagazione. Vedendo l’impatto fondamentale che ha avuto anche sulla politica l’utilizzo della demagogia e del passaparola, ho pensato di assegnare a questo brano il secondo livello dell’album, che lo ricordo, è diviso in nove ordini di grandezza della materia del cosmo e in altrettante canzoni. Il livello atomico e molecolare, quello delle reazioni a catena appunto, dell’elettricità e delle molecole d’acqua che inondano gli spazi vuoti e ci trascinano giù tutti lungo il fiume. Una canzone che avevo abbozzato addirittura nel 1999 e che parla chiarissimo anche e soprattutto oggi. Evidentemente certe spore velenose erano già nell’aria 20 anni fa.

Ti senti in qualche modo un precursore di qualcosa, di qualche concetto, di un tempo che deve venire? E in particolare: vivi a tuo agio nel tempo che sta scorrendo?

Credo/spero di venire ricordato come uno di quelli che hanno reinventato il pop dalla vocazione più alta o perlomeno uno di quelli che ne ha tenuta alta la bandiera nei tempi cupi della semplificazione, della sciatteria culturale e linguistica e dell’incapacità di analisi di qualunque cosa un minimo più complessa. Questa sorta di velato disprezzo che serpeggia nell’aria per tutto ciò che ha la sfacciataggine di occuparsi di temi universali più profondi, di costruzioni di un’opera a più livelli, di densità di significati che variano dall’intrattenimento alle citazioni nascoste, che non inneggi alla quotidianità e a stupidi strazi d’amore da ragazzini, viene tacciato come qualcosa di pesante, di troppo sofisticato, di ridondante e di démodé. Ecco, questo è il vero disagio del mio tempo. Invece io credo che questo linguaggio sia la vera avanguardia futura, utile a tutti e ancora possibile, l’unico antidoto, quello della rieducazione alla complessità, che possa far invertire la marcia a questo stato di ipnosi collettiva e di rassegnazione, che ci fa sembrare sempre più un branco di lemming che si dirigono disillusi in massa verso il burrone. Solo che pochi ancora hanno voglia di cimentarsi, perché sulla leggerezza si possono fare carriere molto più rapide, sulla complessità bisogna studiare e articolare strutture elaborate e fare fatica, sia per chi crea, sia per chi ne usufruisce.

Veniamo al vinile: tanta elettricità e suoni digitali nel tuo presente discografico eppure sei tornato al buon suono analogico di un vinile. Perché?

Beh, innanzitutto perché di qui a poco le scorte di CD finiranno, dopo che la SONY da tempo ha ritirato il brevetto e che ha sempre meno appeal come oggetto nel mercato. Il lettori CD spariranno a breve… Poi perché l’oggetto vinile è l’unico feticcio possibile per chi vuole dare un’aura di classicità senza tempo alla propria musica. Vorrei che i miei album si potessero consultare come dei libri un domani, a prescindere dal periodo della loro pubblicazione. I miei album suonano elettronici e digitali, ma il grande plusvalore che tento di metterci è nelle armonie, nelle orchestrazioni, negli argomenti e nei testi, senza tempo che sono ingredienti svincolati dalla moda del suono. L’elettronica mi serve più che altro per condire di suoni visionari e contemporanei dei brani che sarebbero altrimenti canzoni dall’impianto pop classico. Servono per dare una dimensione onirica e cinematografica ai miei “film”. Non è insomma la qualità del digitale ad attrarmi, ma la sua capacità di riprodurre suoni inediti e inesistenti. Questa “magia” può tranquillamente essere trasferita low fi nel vinile anche se si perdono alcune frequenze o la qualità cristallina. Chi se ne fotte. 

A distanza di mesi e dopo aver compiuto in diverse manifestazioni questo viaggio per osservare l’uomo dal micro al mega, cosa ti è rimasto dentro? Che cosa hai visto che vuoi raccontarci? Ma soprattutto cos’è che pensi non si arrivi mai a capire?

Non si arriverà mai a capire l’infinito in entrambe le direzioni, micro e macro, non abbiamo la struttura cerebrale adeguata per concepire al di là di certe soglie di grandezza. È questa la forza spaventosa e l’appeal che ha l’argomento.

Ho portato lo spettacolo-reading-visual show di Micromega nei posti più disparati e lontano da club e festival rock (musei storici importanti, gallerie, palazzi storici, biennali, radio, mostre, forti, persino ex chiese e anche all’estero, come a Berlino e Pechino). La cosa che più mi è rimasta dentro, che poi era esattamente quella per cui avevo lavorato, è lo stupore e il luccichio negli occhi del pubblico a fine concerto. 

Lo capiscono al volo, ne sono partecipi, ti ringraziano. La scienza arriva come ultima voce obbiettiva in un mare di fakes e di populismo demagogico, a spiegare certezze, dinamiche ricorrenti, disegni più grandi e più piccoli in cui siamo inseriti e a cui rispondiamo, è l’ultimo territorio neutrale di voci autorevoli rimasto a ricordarci che siamo tutti fatti delle stesse particelle stellari, ricorda a tutti l’immenso buio dell’infinito nel quale galleggiamo e attraverso rudimenti di fisica quantistica trasmette elementi di dubbio sulla realtà a 3 dimensioni che percepiamo. È un momento di intrattenimento serio, in cui andare fuori di testa e guardare per un attimo la realtà dallo spazio, per ridimensionare. Ridimensionare è la parola chiave di Micromega. Questo è ciò che mi ha lasciato questa esperienza.

E lasciando da parte il suono parliamo invece delle installazioni. Parliamo della copertina. Parliamo di questo modo di condividere il viaggio… una parabola, una scimmia, l’universo. Il progetto di “Micromega” è ben altro che solo musica…

È un progetto davvero vasto che prevede innanzitutto la parte più “rivoluzionaria” dell’operazione, ovvero la piattaforma enciclopedico-visionaria http://www.micromegaproject.com/, vera espansione esponenziale dell’album (unica credo al mondo nel suo genere) in cui a matrioska gli argomenti e le canzoni vengono indagati aprendo sotto satelliti, illustrazioni e versioni audio dei 9 brani sempre diverse, generando 117 tracce, come un’indagine al microscopio all’interno di argomenti della materia da me catalogati e ordinati in base alla grandezza, dalle micro particelle alle galassie. Contiene, oltre alle mie illustrazioni, numerose opere che espongo in mostre e biennali e contenuti scientifici presi dal web sui vari argomenti trattati. Un lavoro durato due anni realizzato assieme a programmatori e web designer di primissimo livello.

La copertina dell’album è un’installazione-scultura di tre metri presentata a Pechino nel 2016 riguardante la conoscenza umana ancora primitiva, quella della cavia lanciata nel mistero del cosmo e abbagliata dalla luce della conoscenza, opera che ha battezzato l’intera operazione (ho anche cantato un brano in diretta TV all’inaugurazione della Biennale Italia Cina, che la ospitava).

È solo una delle molte installazioni che sto presentando in vari ambiti e che indagano i 9 livelli della materia. Tra le più recenti c’è “Nel Multiverso”, di forte impatto e ispirata all’ultima scena del film 2001 Odissea Nello Spazio. È stata esposta assieme ad un’opera di Michelangelo Pistoletto in dialogo reciproco, al Museo Archeologico di Piazza San Marco a Venezia, ricevendo molta attenzione e per mia fortuna anche qualche critica da qualche giovane giornalista “appiattito” a tal punto sul contemporaneo trendy, da non riconoscere una delle scene più famose della storia del cinema e i suoi nessi pertinenti al luogo che la ospitava. 

Queste opere, se tutto andrà per il meglio, andranno a generare una mostra molto complessa e itinerante, completata dalla musica. E un catalogo cartaceo. È la fase 3 dell’operazione, la più ambiziosa.

Italia contro il resto del mondo. Come titolo è affascinante. Ma come vita? Ottodix in Italia o all’estero? Che risposta hai avuto e chi ha celebrato di più quello che sei?

Il mio progetto è complesso ed estremamente legato all’impianto concettuale dei testi delle canzoni in italiano, lingua che padroneggio ben di più dell’inglese. Per non scendere a compromessi con semplificazioni, quindi, devo soffrire una certa difficoltà a imporre il progetto anche fuori dall’Italia. Tuttavia, la sfida è proprio questa, portare l’italiano dei contenuti all’estero. Proprio con “Micromega” e grazie all’universalità della scienza e dell’arte visiva, abbiamo messo in piedi uno show a base di didascalie sui visuals e di contributi “narrati” pre-registrati in inglese tra una canzone e l’altra, di riflessioni sulla fisica e sullo spazio, che hanno reso lo show “intuibile” anche da uno straniero. Spesso è anche meglio, perché la mente dell’ascoltatore intuisce solo la portata degli argomenti, ma è libera di viaggiare. A Berlino (dove ho casa e molto saltuariamente vivo) l’anno scorso, ha funzionato benissimo. Devo comunque dire che il pubblico italiano e la critica hanno accolto davvero bene l’idea e l’album stesso anche in patria. Pubblico di ogni età e di ogni estrazione, sottolineo. 

Chiudiamo pensando invece di fare metà viaggio a ritroso. Cioè dal mega del cosmo interstellare torniamo sulla terra. Usando ad arte la metafora di tutto questo disco, a viaggio finito, hai in qualche modo maturato un modo di stare al mondo diverso da quello che avevi prima della partenza? Ottodix com’è cambiato come uomo e come artista?

Sono più introspettivo, mi godo di più la quotidianità, il mio piccolo studio dove elaboro coi miei vecchi computer, i miei taccuini e le tastiere, le mie visioni, sognando isole lontane. Il prossimo album di Ottodix sarà un nuovo concept, contemporaneo nei temi, una sorta di “spin off” di Micromega, dove uno dei 9 argomenti viene ingrandito e analizzato da un punto di vista poetico. Sarà un altro viaggio, diverso, alla riscoperta di cose oggi perdute.

Nel frattempo, vi annuncio che a gennaio uscirà in digitale un doppio album live in cui verranno raccolte varie radio e studio sessions realizzate per la promozione degli ultimi 4 album dal 2008 al 2018. Una sorta di “John Peel Sessions” in salsa Ottodix, inedite e a mio avviso interessanti per chi ci vuole ri-scoprire anche in chiave più live, come band. Coi ragazzi abbiamo fatto negli anni un buon lavoro sulla parte live di brani spesso anche complicati da rendere e mi pareva giusto restituire anche questo aspetto.