Eppure, Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares è letteratura ma non ignora la vita, anzi: la rende protagonista nella sua essenza, come forza vitale indipendente dalla volontà degli esseri umani. In sostanza, questo libro è la vita, per l’esattezza un’autobiografia senza fatti, come la definisce lo stesso Pessoa. Bernardo Soares, infatti, altro non è se non un eteronimo dell’autore, anzi, più precisamente, secondo la sua stessa definizione, un semieteronimo, un Fernando Pessoa “senza il raziocinio e l’affettività”. Proprio per questo, Bernardo può fare qualcosa in più rispetto a Fernando: può osservare la vita come se non ne facesse parte, con la consapevolezza che essa scorre, procede sempre in avanti, seguendo un suo percorso su cui gli uomini non possono influire in alcun modo: “La vita è un viaggio sperimentale fatto involontariamente”.
Bernardo questo lo sa, lo ha compreso da tempo, e, se da un lato ne avverte il peso, si sente esautorato del potere di decidere cosa essere, dall’altro si rende conto che prendere atto di questa situazione è, tutto sommato, l’occasione per sentirsi realmente parte del mondo e della società. Ecco allora il dipanarsi delle sue elucubrazioni, delle sue riflessioni che prendono spunto da qualsiasi cosa: una giornata di pioggia, l’atteggiamento di un cameriere, una scena di routine quotidiana e simili. Del resto, “Non si è mai vissuto tanto come quando si è pensato molto” e in tal senso Bernardo Soares vive intensamente: per lui ogni cosa è uno spunto letterario, ogni singolo individuo o situazione o evento assurge immediatamente a interlocutore indiretto cui rivolgere i propri pensieri e con cui aprirsi ed esternare le proprie opinioni: “Anche l’ortografia è una persona”.
L’aver compreso il segreto della vita pone Bernardo nella condizione di poter scegliere, di essere veramente libero dal momento che la libertà “[...] è la possibilità dell’isolamento. [...] Se è impossibile per te vivere da solo, sei nato schiavo!”. Non ha contatti con le persone Bernardo Soares, e questo non perché sia un misantropo quanto piuttosto perché, appunto, si sente libero e dunque estraneo rispetto ad un mondo in cui tutti sono schiavi di tutti. Certamente, anche lui deve pur adattarsi a delle forme di schiavitù come quella del lavoro in ufficio che gli impone di avere a che fare con il suo capo Vasques; e lo fa, e lo fa anche bene, solo che mentre lavora immagina di essere su una nave, sotto il sole.
Sostanzialmente Bernardo Soares rinuncia a vivere intendendo per vita l’essere “[...] schiavi di circostanze esterne”, e quindi non rinunciando a vivere tout court. Sceglie di vivere a modo suo e soprattutto sceglie di sognare, di stare alla finestra ad osservare la vita. In questo modo la sua libertà diventa la capacità di sentire tutto: “Io appartengo a quella specie di uomini che stanno sempre ai margini di ciò a cui appartengono, e che non vedono soltanto la massa alla quale appartengono ma anche i grandi spazi che esistono vicino”.
A partire dal titolo, e poi anche per la struttura frammentaria e i motivi di fondo, Il libro dell’inquietudine potrebbe sembrare un libro triste, cupo, angosciante. In effetti lo è. È un libro che inquieta. Davvero. E tuttavia non c’è scampo: o si rinuncia alla lettura subito, dopo la prima decina di pagine, oppure non si può fare a meno di arrivare alla fine. Perché, fondamentalmente, l’inquietudine di Bernardo Soares ci accompagna tutti, è quel misto di senso di incompiutezza, di malinconia, di desiderio di abbandonare tutto e cambiare vita, di “non so che mi prende ma sono triste” che ciascuno di noi ha provato, e continua a provare a volte senza nemmeno fermarsi a rifletterci su. Solo che non sappiamo dirlo come lo dice Pessoa. In effetti, l’incanto di questo romanzo sta proprio nella lingua: la poesia del linguaggio di Pessoa, con la sua ricchezza di metafore, simbolismi, figure retoriche, fa da contrappunto all’assenza di azione nella storia. Se il racconto procede senza fatti, staticamente, è la lingua che si muove e si innalza e inabissa seguendo i pensieri di Bernardo Soares.
Nel suo distacco consapevole dalla vita, Bernardo, come si diceva, può sentire tutto e può accettare tutto. Il suo stare ai margini è una condizione esistenziale perenne; egli realizza compiutamente quello che tutti in fondo, almeno una volta nella vita, abbiamo desiderato: fermarci e lasciare che la vita vada avanti mentre la guardiamo da lontano, dalla finestra. E questo non è necessariamente negativo. Vi confesso che anche a me piacerebbe, talvolta, poter dire con le parole di Pessoa: “Posseggo case di campagna nei dintorni della vita”.