Ogni tanto è confortante tornare nelle coree di Edimburgo, saltellare per le strade di Leith o, come più volte accade ne Il lercio, muoversi tra le vie storiche del centro città. Il corpo d'opera di Irvine Welsh è ormai un universo condiviso che libro dopo libro va a creare il suo affresco corale della capitale scozzese; pur rimanendo i singoli romanzi episodi a sé stanti, non necessariamente collegati ad altre narrazioni (non lo sono quasi mai), i personaggi sono invece ricorrenti andando così a creare nel lettore quella sensazione di familiarità per la quale al solo sentire nominare Franco già si saprà che si sta parlando di quello stronzo d'un Begbie, tutto torna (o meglio tutti tornano), come direbbe il sergente investigativo Bruce "Robbo" Robertson: "le regole son queste". È proprio il sergente Robertson il protagonista del libro nonché "il lercio" del titolo; nonostante il racconto sia ambientato intorno ai personaggi di un distretto di polizia di Edimburgo e fin da subito si assista all'omicidio di un nero di buona famiglia, il caso da risolvere è assolutamente marginale nel dipanarsi del racconto, in fondo non frega niente a nessuno di un "negroide stincato", men che meno al razzista Robbo Robertson, giusto un poco all'impettito superiore di Robbo, quel Toal con velleità artistiche che cerca di darsi da fare più che altro per tenere a bada le pressioni che arrivano dall'alto. Ciò che interessa a Robbo sono le ore di straordinario buone per pagarsi alcool e droga e per finanziare la sua sortita annuale ad Amsterdam dove dare ampio sfogo alla sua fissa intramontabile per il sesso, nonostante il brutto sfogo ai genitali e al culo che lo tormenta e alla presenza di una tenia nell'intestino più che decisa a non finire nello scarico del cesso insieme alle mefitiche deiezioni del protagonista.
Irvine Welsh con la sua solita abilità nel costruire situazioni tanto divertenti quanto ripugnanti scrive di un protagonista altamente sgradevole, un uomo che le ha un po' tutte: razzista, zero considerazione per le donne se non come corpi in cui entrare da tutte le vie d'accesso possibili, dedito alle droghe, incline all'abuso di potere, disinteressato al bene comune se non in forza a un traballante codice d'onore della "polìs", manipolatore, arrivista e traditore, intelligente nel mettere gli altri l'uno contro l'altro per il proprio tornaconto. Lo vogliamo dire? Alla fine il sergente Robertson è un pezzo di merda, a farne le spese in diversi modi ci sono il partner Ray Lennox dalla narcotici, l'ex moglie Carole e la loro bambina e tutti i componenti del distretto di polizia.
Nell'approcciare un romanzo di Welsh la speranza di chi scrive è sempre quella di imbattersi in un'opera all'altezza dell'affresco corale e sociale che è Colla, lettura che fu una vera folgorazione dopo i vari e seppur validi Ecstasy, Trainspotting, Acid house e via dicendo. Con Il lercio non ci avviciniamo a quei grandissimi esiti, Welsh inanella una serie di episodi che costituiscono le giornate del suo protagonista alternando momenti spassosi ad altri più genuinamente cattivi, lo stile dello scozzese lo conosciamo: dinamico, volgare, sboccato, politicamente scorretto, tutte caratteristiche note alle quali si aggiunge un tocco sperimentale nel dare voce alla tenia che sta dentro l'intestino del protagonista, i pensieri del verme resi graficamente all'interno di uno spazio dal contorno che ricorda proprio un intestino si evolvono da un semplice "mangia, mangia, mangia" a una sorta di coscienza che metterà a nudo nel finale tutto ciò che c'è dietro l'esistenza di Bruce Robertson. Se per tre quarti di romanzo sembra che non si vada a parare da nessuna parte e si seguono più che altro le avventure sessuali del protagonista e le sue macchinazioni per arrivare alla tanto agognata promozione, sul finale Welsh cambia marcia e costruisce un epilogo bellissimo e durissimo che cambia le prospettive del lettore nell'interpretare diversi fatti e dona profondità a un personaggio che acquisisce spessore in una sorta di riscatto (qualitativo, non morale) dell'intera opera. Welsh sa bene come ci si muove tra le pagine di un libro, certo, è necessario essere ben disposti verso le volgarità per affrontarne la lettura, quelle abbondano sempre, ma alla fine il vecchio scozzese ripaga, piaccia o non piaccia "le regole son queste"!