La seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso è passata alla storia come un momento di cambiamento e rottura per gli Stati Uniti d'America che si avviavano alla "rivoluzione culturale" del 1968 con alle spalle l'irremovibile (dalla memoria collettiva) tragedia dell'assassinio di John Fitzgerald Kennedy, episodio che segnò un'ideale perdita d'innocenza per gli U.S.A. e la fine del Sogno Americano.
Diciamo "ideale" perché un Paese come gli Stati Uniti d'America in realtà l'innocenza non sa neanche dove stia di casa, non lo sapeva nei Sessanta e nemmeno l'ha mai saputo (vedi I cancelli del cielo di Michael Cimino), diciamo che ha sempre e solo fatto finta e, proprio nel 1968, a sancire il passaggio a un'altra (breve) epoca arriveranno a poca distanza l'una dall'altra anche le morti violente di Bobby Kennedy e del reverendo Martin Luther King.
In questo scenario storico, denso di eventi e significati, anche il cinema e Hollywood andavano a rinnovarsi, un rinnovamento fisiologico dovuto all'umore dei tempi, alle nuove generazioni (di registi e autori ma anche di spettatori) e da situazioni contingenti come le crisi della Hollywood classica, quella dello Studio System e quella delle vecchie star, tutti fenomeni ai quali andava a unirsi la crescente popolarità della televisione nel dare uno scossone ai vecchi Studios della costa ovest.
C'è un pubblico più impegnato formato da una popolazione giovane sempre più critica nei confronti della società, coinvolta sotto il punto di vista politico e che si trova e si troverà a convivere con vicende dolorose come quelle della guerra in Vietnam, affronterà le paure generate dalla guerra fredda, lo scandalo Watergate, sarà protagonista di una crescente sensibilizzazione per la questione razziale riguardante i neri d'America e dovrà fare i conti con il trauma degli omicidi sopra citati e con quello di Malcolm X, promuoverà un mutamento dei costumi e andrà verso una liberalizzazione sessuale senza precedenti. Il cinema cambierà di conseguenza, seguirà la corrente dei tempi, sarà un mutamento sincero e rivoluzionario tanto che questo nuovo modo di fare cinema rientrerà sotto il nome di New Hollywood, a indicare una cesura netta con il passato.
Come per tutte le correnti, i movimenti, le tendenze, non è così facile dare un punto netto d'inizio e uno di chiusura, in genere si procede per convenzioni, per ipotesi, indicando poi oltre al corpo centrale della corrente in questione precursori e strascichi postumi. Per la New Hollywood è solito indicarne una possibile nascita con un paio di titoli, entrambi datati 1967: il primo è Gangster story di Arthur Penn mentre il secondo è proprio Il laureato di Mike Nichols, film che segnavano uno scarto con la vecchia Hollywood ormai incapace di leggere le istanze di una nuova realtà.
Nel cinema entra e si avverte con prepotenza lo spaesamento di una generazione, protagonisti disorientati, l'uomo comune prende il posto dell'eroe, nuovi divi riportano la star a una dimensione più accessibile (Dustin Hoffman né è forse l'esempio più calzante e riconoscibile ma non di certo l'unico), i registi osano avventurarsi su strade diverse e poco battute, creano con budget risicati, destrutturano i generi, danno voce alle minoranze e aprono le porte a una nuova morale, raccontano la nuova società senza edulcorarla, filmano violenze e paranoie.
È un bagno di realtà per l'America spesso ipocrita e perbenista costretta a guardarsi in faccia con onestà, il sogno si infrange, la realtà non ha sempre una fragranza profumata. Le nuove generazioni vogliono libertà, sono più indipendenti, più trasgressive, il cinema ha il compito di assecondarle e nutrirle.
Il laureato quindi. Nel 1967 Dustin Hoffman è al suo esordio ed esplode da subito come uno dei volti simbolo della New Hollywood (candidatura all'Oscar e vittoria ai Golden Globe), nel film è Benjamin Braddock, figlio di genitori benestanti che torna a casa per festeggiare la sua laurea.
Mentre parenti e amici di famiglia si moltiplicano nella villa dei suoi genitori Benjamin non sembra essere né entusiasta né felice della sua situazione, si intravede in lui una preoccupazione per il futuro, un senso di disorientamento che non permette al ragazzo di tracciare una direzione chiara da seguire, Benjamin è in preda a un'insofferenza inconcludente.
Durante la festa la signora Robinson (Anne Bancroft), moglie del socio in affari del padre di Benjamin, chiede a Benjamin di riportarla a casa sua dove la donna, decisamente più matura del giovane tenta di sedurlo. Riluttante Benjamin rifiuta le offerte della donna per poi cedervi nei giorni seguenti. La situazione si movimenta quando in scena entrerà anche la figlia della signora Robinson, Elaine (Katharine Ross), coetanea di Benjamin e fanciulla alla quale il Nostro si rivelerà essere parecchio interessato.
Il laureato di Mike Nichols è un film simbolo graziato da alcune sequenze memorabili. L'inizio con Hoffman fermo sul nastro trasportatore che lo muove come se il protagonista non avesse volontà è una dichiarazione d'intenti, le note di Simon & Garfunkel di "The sound of silence" anticipano il discorso sull'incomunicabilità che qui è sottolineata tra generazioni diverse.
Benjamin e la signora Robinson non riescono a parlarsi, vanno a letto insieme ma non comunicano, non hanno nulla da condividere, è il chiaro segnale di un cambiamento di approccio alla vita delle nuove generazioni, forse più confuso, più inconcludente, smarrito (bellissimo sul finale lo sguardo di Elaine e Benjamin sul bus, quasi a dire "e ora che si fa?") ma anche più libero, sincero e spontaneo.
Nichols è molto bravo a tradurre in immagini un senso di torpore proprio del protagonista (e di tanti spettatori suoi coetanei) usando la metafora della piscina, dell'ottundente immersione nell'acqua (il protagonista ci si butta anche con una muta da sub), calibra alla perfezione il tappeto sonoro grazie a una scelta di brani passati alla Storia e trova in Hoffman un vero simbolo di questa nuova epoca del cinema: un'epoca che durerà poco più di un decennio, frenata negli anni Ottanta dall'edonismo reaganiano, dall'avvento del cinema di consumo (a opera in primis di Spielberg che della New Hollywood è stato una delle firme), dal fallimento totale di film come I cancelli del cielo.
Il laureato però, insieme ad altre pellicole, ha avuto il merito di aver aperto la strada a un decennio di grandissimo cinema che ci ha regalato alcune tra le migliori opere di registi come Scorsese, Coppola, Spielberg, Cimino, Polanski, Friedkin, Allen, Pollack e mille altri uniti insieme a creare un'epoca troppo breve ma altrettanto densa e forse irripetibile.