“Quando una cosa la fai troppo bene, dopo un po’, se non ci stai attento, finisci per strafare.
E allora non la fai più tanto bene.”
A prescindere dal fatto che lo si sia letto o meno, quello de Il giovane Holden, con le sue sessanta milioni e passa di copie vendute in tutto il mondo, è un titolo familiare a molti. Un po’ come il nome del suo autore, J. D. Salinger, Jerome David Salinger, per gli amici Jerry (New York, 1919 – Cornish, New Hampshire, 2010), acclamato come uno dei migliori scrittori del XX secolo, se non addirittura come il migliore.
Il giovane Holden è stato, e continua a essere, un fenomeno letterario, un vero e proprio cult. Il suo protagonista, invece, Holden Caulfield, negli anni '60, quando il libro raggiunse l’apice del suo successo, divenne un eroe, il mito di un’intera generazione, perché questo ragazzino diciassettenne, alto un metro e ottantanove centimetri e mezzo, con un milione di capelli bianchi sul lato destro della testa, ha la capacità di rubarti il cuore.
Il fatto è che in Holden non c’è la minima traccia di quel politically correct che va tanto di moda oggi. Il suo fare è urticante, i suoi pensieri sono fuori dagli schemi, il linguaggio è sgangherato e pieno di intercalari, a tratti prosaico, ma sempre estremamente schietto e diretto. Holden dice sempre ciò che pensa, con sincerità e senza filtri. È insofferente rispetto alla realtà in cui vive, perché la considera ipocrita, fasulla e ingiusta in ogni ambito. A partire dagli adulti che, come burattinai, muovono le fila di tutto.
Più si è sensibili e consapevoli, più si osserva la realtà circostante con attenzione, e più ci si rende conto delle contraddizioni in cui siamo immersi e, per quanto ci si sforzi di affermarsi come individui, risulta difficile non sentire il peso e il condizionamento di quelle che sono le aspettative degli altri. Non solo dei genitori, ma anche e soprattutto dell’intera comunità - produci, consuma, “figlia”, crepa - che da sempre tende a imporre il rispetto di alcuni cliché sociali e comportamentali, funzionali a quello che dovrebbe essere l’interesse collettivo. Se non ti attieni, vieni additato, giudicato, criticato e bollato come diverso, sbagliato. Come “strano”. E in alcuni casi, anche escluso o emarginato.
Holden è considerato “strano”, perché ha una visione tutta sua della vita, la sua scala di valori è differente, fa fatica a adattarsi, ad accettare tante cose, compresa l’inettitudine di certi insegnanti, ma a differenza di chi, pur non tollerando, se ne sta zitto e buono, fingendo che tutto vada bene, crogiolandosi nell’ipocrisia dell’apparenza, lui non ha paura di dire ciò che pensa. È diretto e sincero e ne paga il conto, perché per lui, rimanere fedele a ciò che è e sé stesso, è molto più importante.
Salinger ha creato un personaggio immaginario che però si facesse portavoce del suo sentire. Salinger è Holden, e viceversa, perché Holden, per Salinger, è reale. Sono moltissimi i punti di contatto tra i due: New York, la famiglia benestante, il fatto che entrambi frequentassero scuole snob da cui si facevano sistematicamente sbattere fuori, una certa avversione verso i propri simili, il senso critico (a cui Salinger era stato educato dal padre, che gli ripeteva con insistenza di non fermarsi mai ai soli insegnamenti ricevuti dai professori e di non accontentarsi mai del solo punto di vista degli altri sulle cose, ma di pensare sempre con la propria testa e di ricercare sempre la sua di verità), il non dare peso al proprio status sociale “Maledetti soldi. Riescono sempre a metterti tristezza”, la testardaggine, il rapporto conflittuale con le donne, l’amore per i libri, l’abilità nella scrittura, l’esaurimento nervoso.
Il destino di Salinger, quello che avrebbe voluto il padre per lui, non era certamente quello di diventare scrittore. Lui avrebbe voluto che suo figlio seguisse le sue orme (era un ricchissimo commerciante). Così, dopo l’ennesima espulsione dall’ennesima scuola, decide di spedirlo in un’accademia militare, nel tentativo di smussare i lati più spigolosi del suo carattere e fargli imparare un po’ di disciplina. Ma il risultato non fu quello sperato. Infatti, è proprio in questo periodo che Salinger si avvicina alla scrittura.
Nel 1941 incontra Oona O’Neill (figlia del drammaturgo e premio Nobel per la letteratura Eugene O’Neill), lui ha 21 anni e lei 16. Si amano alla follia, sono una coppia bellissima. Jerry, però, decide di arruolarsi. Lui, il figlio di papà, decide di lasciare la sua vita comoda e privilegiata per andare in trincea, esponendosi al rischio elevatissimo di lasciarci la vita. I medici lo avevano scartato, considerandolo non idoneo, ma lui non si diede per vinto, e tanto fece, che riuscì a farsi reclutare.
Nel 1942 parte per il fronte. Lui e Oona si scrivono per un po’, ma lei, di punto in bianco, smette di rispondere alle sue lettere e poco dopo verrà a sapere dai giornali che nel giorno del suo diciottesimo compleanno si è sposata con Charlie Chaplin, che ai tempi aveva 54 anni. Per Salinger fu un colpo durissimo che, a dire di amici e conoscenti, finì per condizionare irrimediabilmente il suo rapporto con le donne.
Salinger, durante la Seconda guerra mondiale, pubblica quattro romanzi brevi, su due riviste prestigiose, ed è sempre in questo periodo che inizia a scrivere Il giovane Holden. Ha raccontato di essere partito per la missione del D-Day (lo sbarco in Normandia) con i primi sei capitoli del libro nello zaino. Partecipa attivamente alla guerra, fa parte del controspionaggio. Durante la liberazione, a Parigi, incontra il suo idolo, Ernest Hemingway, a cui fa leggere il suo manoscritto. Lo apprezzò molto e per Jerry fu motivo di orgoglio.
Alla fine della guerra, dopo aver trascorso quasi 300 giorni in combattimento, soffre di un forte esaurimento nervoso, a causa dell’enorme stress fisico ed emotivo a cui è stato sottoposto. Viene ricoverato e curato a Norimberga per “nevrosi da combattimento”. Racconterà di non riuscire più a togliersi dalle narici l’odore di carne bruciata che ha respirato il 29 aprile del 1945, durante la liberazione del campo di concentramento di Dachau, dove i tedeschi, prima di fuggire, avevano rinchiuso i prigionieri nelle baracche e gli avevano dato fuoco. Una volta dimesso, partecipa al processo di denazificazione della Germania e finisce con lo sposare quella che in molti dicono fosse un’informatrice della Gestapo. Il matrimonio durerà pochissimo, si separerà da lei un mese dopo aver fatto ritorno negli Stati Uniti. Il matrimonio venne annullato per “raggiro”.
Finalmente, nel 1946, dopo aver ricevuto tanti no, riesce a coronare il suo sogno di veder pubblicato un suo racconto sul New Yorker. Sarà il primo di una lunga serie. L’ultimo verrà pubblicato nel 1965.
Il giovane Holden, dopo un lunghissimo periodo di gestazione, vede la luce nel 1951 e per Salinger sarà il libro della vita, in tutti i sensi, perché quel libro, che lo volesse o meno, che se lo aspettasse o no, lo ha reso celebre e immortale.
Arrivare alla pubblicazione è stato tutt’altro che semplice, si è anche sentito dire da uno degli editori a cui lo aveva proposto che Holden, il protagonista, era un pazzo. Per Salinger fu terribile, perché è come se avessero accusato lui di esserlo. Comunque, una volta pubblicato, divenne un successo a livello mondiale e Salinger una star, ma evidentemente non era pronto a tutto ciò. Non voleva fare presentazioni e nemmeno promozioni e a partire dalla pubblicazione della seconda edizione non volle più la sua foto in copertina e nemmeno su quella di tutti gli altri libri che seguirono (Nove racconti, 1953; Franny e Zooey, 1961 (qui trovate la recensione); Alzate l’architrave, carpentieri e Seymour. Introduzione, 1963).
Il fatto è che la celebrità si conciliava poco con la sua personalità schiva. Teneva moltissimo alla sua privacy. Non era un solitario, semplicemente selezionava moltissimo il suo giro di frequentazioni. In ogni caso, a un certo punto decide di lasciare New York per trasferirsi nel Cornish, in una casetta in mezzo al nulla, lontana dai riflettori e dal successo. Poco dopo, pur continuando a scrivere, deciderà di sparire e non pubblicare più nulla.
Nonostante ciò, Salinger non verrà dimenticato, anzi. La sua abitazione è diventata meta di appostamenti e pellegrinaggi da parte di giornalisti, curiosi, ma soprattutto ammiratori, desiderosi di riuscire a scambiare qualche parola con lui, per chiedergli un consiglio, quasi fosse uno psicoterapeuta, o lasciargli una copia dei propri manoscritti da leggere. In modo quasi profetico, si è trasformato per i suoi lettori nello stesso tipo di scrittore descritto da Holden: “Mi fanno impazzire i libri che quando hai finito di leggerli vorresti che l’autore fosse il tuo migliore amico, per telefonargli ogni volta che ti va. A me non dispiacerebbe telefonare a Isak Dinesen. Anche a Ring Lardner, non fosse che D.B. mi ha detto che è morto.”
Holden Caulfield è un ragazzo di 17 anni, estremamente intelligente e sensibile, che dopo essersi fatto cacciare dall’ennesima scuola, la Pencey, decide di tornare a New York con qualche giorno di anticipo rispetto alla pausa natalizia. I suoi genitori non sanno ancora nulla dell’ennesima espulsione, pertanto, anziché recarsi a casa e affrontarli, preferisce vagabondare in solitaria, per qualche giorno, per la città e schiarirsi le idee. Il libro è il racconto della “roba da matti” che gli è capitata in quei pochi giorni, arricchito da altri aneddoti e ricordi più o meno lontani nel tempo. Però, non è un semplice raccontare, non è una “stupida biografia”. È una vera e propria presa di coscienza sull’ipocrisia del mondo degli adulti. È una critica costante a una società che sembra(va) avere come unico valore e punto di arrivo il denaro e il successo. Solo vuoto e apparenza.
Holden è un ragazzino, ammette di avere un vocabolario pietoso, e che certe volte si comporta come uno più piccolo della sua età, mentre altre volte come uno più grande, perché beve, fuma, frequenta luoghi e persone non idonei alla sua età, parla di sesso e sembra conoscere il mondo degli adulti meglio degli adulti stessi, perché li guarda dal di fuori e li osserva in tutte le loro contraddizioni e, spesso e volentieri, li giudica. Dice anche di essere un bugiardo, “il bugiardo più pazzesco che abbiate mai incontrato” e che legge un sacco di classici e che il suo scrittore preferito è suo fratello D.B..
Ama la sua sorellina Phoebe, che lui chiama “la vecchia Phoebe” ed è molto legato a un suo ex professore, Antolini, uno dei pochi, tra i tanti, che stimava davvero e che gli darà una lezione di vita memorabile, di quelle che non si dimenticano: “Ciò che contraddistingue l’uomo immaturo è che vuole morire nobilmente per una causa, mentre ciò che contraddistingue l’uomo maturo è che vuole vivere umilmente per essa.”
Holden è un ragazzo come tanti, solo che è particolarmente sensibile, il suo sguardo sul mondo è tutt’altro che convenzionale. I suoi pensieri, nonostante sembrino buttati lì a caso, nascondono una grande profondità. Alcuni non sono immediati e a una lettura superficiale possono sembrare quasi banali o inutili, come quando si interroga su che fine facciano in inverno le anatre del laghetto di Central Park. Ma in realtà non c’è una sola riga, un solo dialogo dell’intero libro che non spinga il lettore a una interpretazione che vada oltre le parole.
L’impressione è che questo libro sia una sorta di “confessione”, il frutto di un lunghissimo dialogo interiore di Salinger con sé stesso, in cui tutti i suoi lati, quello razionale, irrazionale, adulto, bambino, tollerante, intollerante e via dicendo, si siano confrontati e scontrati tra loro. Holden è solo il portavoce. È come se il pensiero del Salinger più accomodante verso la società e la realtà circostante fosse impersonato dagli altri personaggi della storia, mentre quello del Salinger più intransigente e “ostile”, da Holden. In un gioco di botta e risposta.
L’avversione di Salinger-Holden verso la società traspare chiaramente, ma non contiene alcun messaggio che istighi alla violenza, per questo risulta inconcepibile che tre malati di mente abbiano affermato di essersi ispirati al modello de “Il Giovane Holden” quando spararono a John Lennon, Ronald Reagan e all’attrice Rebecca Schaeffer.
Ma poi, è davvero così sbagliato desiderare un mondo diverso? Privo di ipocrisie e luoghi comuni su ogni cosa? È così sbagliato ammettere di non avere una risposta a tutte le domande? O il volersi sentire liberi di fare le proprie scelte e di cambiare idea tutte le volte che si vuole?
Phoebe chiede a Holden “Dimmi qualcosa che ti piacerebbe essere. Tipo uno scienziato o un avvocato o non lo so” e Holden, tra le altre cose, le risponde: “[…] Ad ogni modo, io mi immagino sempre tutti questi bambini che giocano a qualcosa in un grande campo di segale e via dicendo. Migliaia di bambini, e in giro non c’è nessun altro – nessuno di grande, intendo – tranne me, che me ne sto fermo sull’orlo di un precipizio pazzesco. Il mio compito è acchiapparli al volo se si avvicinano troppo, nel senso che se loro si mettono a correre senza guardare dove vanno, io a un certo punto devo saltar fuori e acchiapparli. Non farei altro tutto il giorno. Sarei l’acchiappabambini del campo di segale. So che è da pazzi, ma è l’unica cosa che mi piacerebbe fare davvero. Lo so che è da pazzi.”.
Il significato e la meraviglia di The Catcher in the Rye (titolo originale dell’opera, testualmente “l’acchiappatore nella segale”) sta tutta qui, riassunta in queste poche righe, che credo non sia necessario spiegare.
E io non posso fare a meno di chiedermi se la vita che Salinger-Holden si è costruito lontano da tutto e da tutti, anche da quell’ipocrisia che ha sempre denunciato e osteggiato, sia stata all’altezza di quelle che erano le sue aspettative.