Dopo vent'anni di carriera ed una straordinaria infilata di album (da "Andate Tutti Affanculo" del 2009 a "La Terza Guerra Mondiale" del 2016) indicativa di uno stato di grazia compositiva che ha pochi eguali nella storia recente del rock italiano, gli Zen Circus tornano sulle scene discografiche ad un solo anno e mezzo di distanza dalla pubblicazione del disco precedente, e lo fanno con quello che è senza alcun dubbio il loro lavoro più maturo. "Il Fuoco in una Stanza" rappresenta il compendio di quanto prodotto fino ad ora dalla band pisana, con l'innesto di nuove soluzioni stilistiche che non sono semplice orpello ma testimonianza concreta di un'evoluzione nel loro approccio alla materia musicale, a partire dagli arrangiamenti: Appino, Karim e Ufo (più Francesco "Maestro" Pellegrini, di fatto nuovo componente del gruppo) per loro stessa ammissione hanno lavorato in studio di registrazione più che in ogni altra precedente occasione; ciò ha arricchito di nuove suggestioni il loro sound, tradizionalmente senza fronzoli, senza perdere un'oncia a livello di spontaneità. Esemplare in questo senso l'inedito inserimento dell'accompagnamento orchestrale in quattro delle tredici tracce che compongono il disco, una soluzione che risulta ben calibrata, mai decorativa.
Queste novità si riflettono positivamente sull'intero album le cui canzoni, pur mantenendo riconoscibile il "marchio" Zen Circus, vanno a comporre un ampio spettro stilistico e di generi a cui mai la band aveva attinto prima d'ora, rendendo "Il Fuoco in una Stanza" un album in apparenza più accessibile - la ballata anni 50 Il Mondo Come lo Vorrei, l'acquerello per piano e archi di Caro Luca, in bilico tra De Gregori e Capossela - ma in realtà assai più stratificato di quanto potrebbe sembrare. Non mancano momenti tipicamente Zen come in Catene, brano di apertura e primo singolo estratto dal disco, e Quello che Funziona. I momenti migliori - posto che non risulta facile stilare una classifica, dato l'altissimo livello qualitativo dei pezzi - sono però da ricercare nel rock cantautorale di La stagione, nel dark-pop di Low Cost che svela aperture armoniche che richiamano gli Arcade Fire degli esordi, e soprattutto negli oltre otto minuti di Questa Non è Una Canzone, brano in tre sezioni che vede il suo punto di forza a partire dalla seconda parte, un trascinante crescendo che sfuma in un finale di blues acido per chitarra acustica.
Seguendo di pari passo l'evoluzione musicale, i testi abbandonano quel piglio spesso provocatorio, caustico, controcorrente che caratterizzava i lavori precedenti, per addentrarsi nei territori di una dolente introspezione che non è solo autobiografia ma rappresentazione della condizione umana. Appino tratteggia con cruda efficacia le ferite interiori dell'uomo contemporaneo, l'impossibilità di fare pace con il proprio passato ed i propri errori, l'incapacità di dare un nome ai propri sentimenti e ad esternarli, rendendo tormentato - se non impossibile - il rapporto con i familiari, gli amici, gli amanti. "E gli altri siamo noi / E gli altri siamo tutti / E proprio questo mi spaventa / Siamo diventati brutti", cantava Appino in Viva (da "Canzoni Contro la Natura", 2014): ascoltando le canzoni di "Il Fuoco in una Stanza" viene da pensare che forse non siamo così brutti ma soltanto irrisolti.