“…a me dà Noia Profonda solamente perché manca, e questo veramente da qualche decennio, Il Sacro e il Simbolico… per questo mi sono care le pietre, per Sacralità e Simbolismo, oltre che impermeabilità all'umano…” (P. Benvegnù).
Forse questo è uno dei lavori che maggiormente mi hanno ispirato in questi ultimissimi tempi. E il suo ascolto non accade soltanto per gusto e per bellezza, ma si fa culla e diventa custode del mio personalissimo modo di stare al mondo… e poi rende visibile la verità propria, immateriale, com’è immateriale e simbolica quell’esistenza che Paolo Benvegnù “grida”, necessaria e doverosa per una qualche forma di salvezza dell’uomo di oggi… di ogni tempo a ben pensarci.
“Dell’odio dell’innocenza” è un disco di una grandezza che non si fa portavoce di chissà quale estetica da copertina. E qui, l’occhio, sacro e spirituale, sa bene che la bellezza è altra cosa rispetto al gusto della forma… che la forma è confine delle cose, è il termine finito, è la definizione della materia stessa come anche mera utilità tecnica e di mercato… nonostante ci sia, anche questa bellezza, sia chiaro, materiale ed etichettabile anch’essa. “Dell’odio dell’innocenza” è un disco bianco venuto a sottolineare l’inevitabile insignificanza della materia matematica, finita (di nuovo) e definita, contabilizzata, numerata a priori e comunque numerabile a prescindere. “Dell’odio dell’innocenza” è un disco che mette a nudo la pelle sapendo che questa non copre soltanto le ossa ma anche la paura che arriva quando non si hanno maschere buone per sembrare qualcuno, per dimostrare a parole una qualche capacità di vittoria e di avere ragione, emulando a parole i super eroi e le star celebrate dalle televisioni. Questo disco la piega alle responsabilità la pelle, la fa sanguinare, ne taglia un pezzetto per fa entrare luce dove non siamo abituati a cercare. “Dell’odio dell’innocenza” è un disco che parla di simboli e di sacralità, parla di uomini piccoli senza più il costume di scena, parla di animali, di pietre, di fiori… “Dell’odio dell’innocenza” è un disco che parla di silenzio.
Temo che dopo sia inevitabile leggere libri quasi “definitivi” come “Ascolta, piccolo uomo” di Wilhelm Reich. Temo che dopo sia inevitabile restare un poco in disparte, forse per giorni, forse ogni volta che, inermi e indefinitamente (in)coscienti di “non potere”, ci ritroviamo allineati alla forma prevedibile di tutte le cose materiali che predicano alla televisione. Santa televisione…
Ho scritto una nuova canzone dopo aver ascoltato questo disco. Spero che Paolo Benvegnù vorrà cantarla con me. Non ho ancora deciso quale titolo darle. Ho ancora bisogno di stare in silenzio per poterlo capire.
“Dell’odio dell’innocenza” non è un disco da consumarsi così, per gioco. Nonostante oggi sia tutto un gioco… per i vincenti soprattutto…
Iniziamo dalla genesi. La storia narra di un “anonimo” che ti ha lasciato dentro la cassetta delle lettere un cd dal titolo "Dell'odio dell’innocenza”. Hai ripreso queste tracce, privatamente, dentro un lavoro notturno, le hai fatte tue…
Sono diventato talmente antico, stratificato, che davvero non riesco a contemplare una sola realtà. Ammesso che esista, una realtà. Così mentre ti sto rispondendo sono contemporaneamente un anello d'argento all'anulare di una geisha, un falegname di Città di Castello, una strada in terra battuta che porta su una vetta dolomitica, un cane che si abbandona alla sete. E ancora altre miliardi di forme esistenti. Organiche, inorganiche. Perciò è solo per minimalismo istintivo che ammetto due storie parallele sulla genesi di “Dell'Odio dell'Innocenza”… Il disco scritto è stato scritto dai Paolo Benvegnù in tutto e per tutto oppure è stato suggerito, spero da una magnifica Madre, e reinterpretato da I Paolo Benvegnù, rispettandone il Senso. A me, anche per un certa vertigine legata all'irresponsabilità, piace pensare più al secondo caso.
Vorrei sottolineare questo “anonimato” simbolico. Appunto un simbolo davvero importante contro l’estremo bisogno di apparire che impera oggi. Più che alla “verità” di questa storia ho voluto conservare la morale e la sua simbologia: la verità e non l’estetica finale, le luci di scena e la maledetta superficie delle cose. E non a caso questo disco condanna tutto questo che ormai è il carattere dell’uomo “moderno”… cosa ne pensi?
Gli uomini sono da loro stessi condannati. Da Sempre. Ad essere, soprattutto a non essere. Gli uomini postmoderni ancora di più. Quando parli della "Superficie delle Cose" e dell'adesione a questo
da parte dei figuranti antropomorfi che siamo tutti diventati, racconti una verità stigmatizzabile e precisa. Io e miei compagni abbiamo esplorato la nostra negazione verso questo aspetto e abbiamo esploso traccianti contro questo bersaglio. Ma a distanza di mesi, capisco che non esiste alcun bersaglio. E che certe considerazioni bisogna tenerle per se, per giustezza, racchiuderle in uno scrigno di pudore.
Perciò, che tutti appaiano e che chi vuole scompaia. L'Universo o quello che percepiamo come Infinito è così vasto che ogni nostro movimento è insignificante.
Questo e solo questo è la Rincorsa al Piacere e alla realizzazione del Desiderio. Parte dall'Insignificanza, ritorna all'Insignificanza. Bellissimo.
E quindi sottolineo il colore Bianco. Perché questo disco è bianco? Non penso sia un colore che hai scelto così a caso, esteticamente interessante per confezionare qualcosa da dare in pasto al mercato. Penso ci sia una risposta molto più importante… credo… magari mi sbaglio… eppure se penso alle pietre, io le immagino bianche…
Nei miei desideri, l'avrai compreso, c'è la trasparenza e la non riconoscibilità. Ma sono tuttora troppo materiale. Io e i miei compagni, nel bianco, a rinverdire l'impossibile ma agognata verginità di un nuovo percorso…
Un’altra parola che sottolineo è coscienza. La scrittura di questo disco condanna l’uomo e la voce che parla, spesso, mi piace vederla alta, spirituale, ma non come un Dio... piuttosto come una coscienza, appunto. È la nostra coscienza che dovrebbe farci capire cosa stiamo diventando… e invece? Invece mi sembra che tutto prosegua in questa direzione di “distruzione”…
Il desiderio di distruzione è insito in ogni essere vivente. Meglio, lo chiamerei Desiderio di Trasmutazione. Gli uomini, me compreso, però ne hanno una consapevolezza perversa. Affascinante come Cieca. In ogni uomo, chi parla è spesso Dio. Nel senso della volontà di Onnipotenza e di Appartenenza che ogni frase si porta dietro. Ma mi sembra di intuire che non debba essere così. Perché l'Onnipotenza è invece Abbandono, non conquista. Resa e non vittoria. Così parlerei di una narrazione di una Voce di Incoscienza, o meglio di Percezione incosciente. Perciò fallibile, ingiusta e così umana che sì, è in contrapposizione al Controllo. Che è un controllo di trasmutazione e di punizione che è puramente del nostro tempo. Trasmutante, perciò distruttivo/costruttiva. Materiale. Così l'invito è verso la smaterializzazione, la non-presenza.
Parliamo di tempo e di fiori. Spesso parli di un prossimo futuro. E in questo futuro i fiori riprenderanno il posto dei grattacieli e delle autostrade. Secondo te nel futuro prossimo (o lontano che sia), l’uomo vivrà una involuzione? Torneremo alla terra e alle origini?
Gli uomini sono in devoluzione da molto, moltissimo tempo. Almeno da quando non esistono momenti cruciali quotidiani. Da quando la paura è indotta e non temibile.
Da quando la decomposizione dei frutti e degli animali, la nostra stessa decomposizione non è da percepire perché ha un brutto odore. Vero, ma a cosa serve preservare solo il lato puramente luminoso delle cose?
Siamo molto deboli. Penso non riusciremo di nuovo a costruire ciò che alle volte per idiozia abbiamo costruito, se non parzialmente. Procediamo per avamposti. Cerchiamo di salvare il mare, ma stiamo già cercando di capire come manipolare il Sole. Tra un avamposto e l'altro, la Natura sta già facendoci del bene. Con meravigliosa imprecisione, cancella il lavoro degli architetti e degli ingegneri. Noi, dovremmo de-pensare, come i danzatori. Tracciare linee ideali. Non mi sembra poco. Saremmo più armonici con Tutto.
E poi quest’immagine apocalittica di animali che in superficie sono allineati. Perché? Che cosa rappresenta questa disposizione che sembra avere una severità geometrica…? Che siano pronti alla battaglia per riconquistare gli spazi?
Severità Geometrica e Materiale. Noi invece, a mio parere, dovremmo disporci solo al Fantastico, all'Immateriale. La battaglia per conquistare gli spazi, sulla Terra è già finita. Ovviamente, Persa perché Vinta. Come ogni guerra. Dovremmo rivolgerci al Miracolo che è la Vita in ogni sua forma. In ogni sua funzione, specie nella sua stolida volontà di Presenza. E dedicarci a giocare, a contemplare, piuttosto che a costruire bulldozer, inventare mondi di persuasione e chiamare gli dèi a soccorso. Mi viene da ridere..
Che poi questi fiori colpiscono la mia attenzione quando inviti a regalarli perché sono già stati usati… che forza incredibile questa immagine in cui ci leggo consumismo e povertà di personalità e iniziativa. Uno specchio di oggi…
Uno specchio di sempre. Se recidi, stai già usando male una possibilità. Così, si regalano cadaveri usati. Ma questo a me dà Noia Profonda solamente perché manca, e questo veramente da qualche decennio, Il Sacro e il Simbolico. I Fiori per curare le assenze vengono sostituiti dalle automobili e dai rasoi quadrilama, perfino dai videogiochi e dalle coperture assicurative.
Viene da pensarsi come piante carnivore, allora..
Povertà di potere critico… è una povertà perpetrata dall’odio che ormai si alimenta facilmente sull’innocenza del popolo impotente e grazie all’ignoranza che gli viene inculcata?
Manca il Sacro, la Paura. La Consapevolezza di potere essere il peggiore dei Mostri o il più puro degli Asceti. L'Innocenza è pura quando è veramente cieca. Quando un'assenza davvero, ma veramente, ti spezza il cuore. L'odio, quello vero, non è alimentabile. Non funziona in quantità, ma in qualità. Perciò, saremmo perfetti nell'Odio come nell'Innocenza. Ma anche siamo così felici della nostra possibilità di frustrazione quotidiana che non ci è possibile rimanere davvero impotenti. Pensa che parola fantastica. Non Potenti. Quanto è meravigliosamente Significante. Deresponsabilizzante. Non potere. Magari fossimo impotenti..
Ignorare, ad esempio, sarebbe bellissimo. Non sapere. Magari, i sapiens, fossero non-sapiens.. Certo, capisco cosa intendi dire. Per me, la cura sta nel rispetto delle madri e dei maestri elementari. E l'attitudine all'educazione sentimentale. E guardare le stelle. Ed essere puri quando si costruiscono le cose.. Sia ciò che dovrebbe fare ridere o piangere o ferire o mantenerti in totale gioia. Ma è così difficile. Così difficile..
Il silenzio è la verità. Tutto quello che abbiamo, il mondo che viviamo… è finzione. Ricordiamoci un bellissimo film “The Truman Show”. Secondo te questa finzione da dove nasce e fin dove esercita il suo potere?
La nostra percezione è limitata. Vediamo da due buchi, ascoltiamo da due buchi, respiriamo da tre buchi… La verità, anche se ingenuamente mi sono battuto per decenni per decifrarla, non esiste. Così non esiste nemmeno il suo opposto. Dipende da noi. Quanta gratitudine abbiamo verso gli aguzzini? Quanto sospetto verso i custodi? Noi siamo già finzioni, nel non sentirci spettri… Da questo nasce tutto. Così, continuiamo a perorare la nostra letteratura di noi stessi. E questo è il potere della nostra, personale finzione. Non comprendendo il Prodigio, ci prodighiamo nel ricrearlo. Mossa astuta, ma falso movimento.
È inutile non chiedertelo. Le pietre. Più conosci gli umani e più capisci le pietre. Altro grande manifesto sociale di questo disco. Tu "hai davvero capito le pietre”? E pensi che questo significhi arrivare ad un altro livello di coscienza sociale, personale? Oppure condanni anche te stesso come uomo?
Il Mondo minerale per ora è insondabile per gli uomini, figuriamoci per me, che sono un fantasma… Ma intanto è bellissimo che ancora il mondo minerale sia vergine da interpretazioni fittizie… Per questo mi sono care le pietre, per Sacralità e Simbolismo, oltre che impermeabilità all'umano. Per quanto mi riguarda, ho parlato a dei muri, ma non mi hanno risposto. Per fortuna, aggiungo. Niente è peggio dell'eco di noi. Mi piacerebbe, anche se non mi è dato, condannare me stesso e l'umanità alla felicità. Ma dovrei e dovremmo eliminare l'ansia della Fuga.
L’America. Non è più una "terra promessa". C’è un “Io” che ci mette con le spalle al muro. “Lui” costruisce l’America e qualcosa a cui dobbiamo soccombere. Questo mi arriva. Altro simbolo di un potere forte…
L'Infinito è Costruttore spesse volte inconscio. Siamo noi con il nostro desiderio verso di lui, a riversarlo di responsabilità. Perciò l'Io è Noi, in questo caso. Abbiamo bisogno di nuove Terre Promesse. Ed infinite sono nel Fantastico, nell'immateriale. Lì, dovremmo andare, non su Marte.
Non vogliamo sputare affatto nel piatto dove tutti mangiamo. Eppure anche noi che in questo mondo viviamo, chi per un ruolo, chi per un altro, alziamo la voce contro questo circo assurdo dell’estetica… ma poi inevitabilmente a questo circo cediamo il passo perché in qualche modo ci renda riconoscibili alla pubblica piazza. Tu cosa ne pensi? Non trovi che sia un controsenso? Anche queste sono le finzioni dentro cui navighiamo…
Mai visto né sentito un essere umano senza controsensi. Ognuno di noi è semplicemente troppo vasto, anche un infante. Abbandoniamoci a questa impossibilità, ecco. Penso che ognuno
possa essere libero di Sentirsi come vuole. Ognuno ha un proprio limite legato al pudore, al Senso di appartenenza e di presenza, al desiderio seduttivo verso l'Altro. Non giudico nessuno. So solamente che il tempo è galantuomo.
Una domanda estetica. Questo disco, forse per il suo enorme potere lirico, mi è sembrato che desse all’estetica musicale, agli arrangiamenti (che sono comunque notevoli, lasciatelo dire), un ruolo appena secondario. Appena… ho avuto l’impressione come se questo sia un disco che celebri per prima cosa la parola… forse sbaglio… dimmi tu…
Mi piacerebbe poterti dire che i miei compagni ed io abbiamo compiuto delle scelte stilistiche nello sviluppare il disco. Non è così, però. Abbiamo lasciato andare le cose come andavano, semplicemente. Quella materia che per me è costruzione tra armonia, melodia e letteratura però è stata spasmodicamente cercata. Ma non assecondata. Come lasciare correre lo Sguardo dove esso si posa.
C’è un’altra immagine da cui non posso prescindere. Ho “visto” Dio fermo dentro una grande città. Nessuno lo faceva passare. Secondo te, qualunque sia il Dio in cui credere, se venisse oggi, se si manifestasse oggi, saremo capaci di riconoscerlo? Saremo pronti ad accoglierlo? Ho l’impressione che anche su questo siamo indottrinati verso un potere di sola estetica...
Hai ragione. Viene da pensare che Dio, se si manifestasse, dovrebbe farlo come un eroe della Marvel. Però. Il punto è sempre lo stesso. Tutto ci parla e tutto è mostruosamente divino. Divinamente mostruoso. Ognuno ha la sua soggettiva di interpretazione. Accogliere il Sacro necessita grande capacità di ascolto e di visione. Ad esempio, per me, nulla di più Sacro e Visionario di una Madre.
A chiudere questa intervista, sperando di non averti rubato troppo tempo con cose inutili. Hai sempre dedicato tante parole all’uomo e al suo passaggio su questa terra. Questo disco sembra essere un disco di denuncia ma anche di rassegnazione, a tratti. Sia che siamo uomini inermi, figli della grande massa, schiavi di queste tecnologie… sia che siamo uomini di una coscienza che si sta svegliando e che ha il potere critico di capire cos’è vero e cos’è finzione… secondo te: che cosa possiamo fare nel concreto di ogni giorno? Se potessimo inneggiare ad una rivoluzione (nel senso romantico s’intenda), secondo te cosa bisognerebbe fare?
Tutto è meravigliosamente utile, per uno spettro, che sceglie la Resa ed il Sorriso come spada e scudo. La Rivoluzione è già in atto e non dipende da nessuno. Non è altro che un ritorno bellissimo. Nel concreto, non resta che attendere ed avere pazienza. Le pietre lo sanno.