Art Keller pensava che una volta scomparso Adán Barrera avrebbe trovato pace. Si sbagliava. A prendere il posto che è stato di Adán, e prima ancora di suo zio don Miguel Ángel, ci sono già Los Hijos, la terza generazione. E ora, a capo della Dea, Art si rende conto che in realtà i nemici sono dappertutto: nei campi di papavero messicani, a Wall Street, alla Casa Bianca. Gente che cerca di farlo tacere, di sbatterlo in galera, di distruggerlo. Gente che vuole ucciderlo. Con Il confine Don Winslow tira le fila di una storia di violenza e vendetta, corruzione e giustizia, ormai divenuta leggenda. E dipinge un ritratto di straordinaria potenza dell’America d’oggi.
Non ci sono più parole per descrivere la grandezza di Don Winslow. E da quando uscì L’Inferno Di Frankie Machine, il suo primo romanzo pubblicato in Italia più di dieci anni fa, che trovare aggettivi è sempre più difficile. Certo, ha scritto anche libri buoni anche se non eccelsi (le indagini di Neal Carey, risalenti agli anni ’90, quando la sua carriera era agli esordi), ma solo perché strettamente legati al genere poliziesco.
La trilogia messicana, però, è l’opera di uno scrittore che è riuscito a portare il thriller a livelli di letteratura colta, capace di creare palpiti, come nella miglior tradizione di genere, ma anche di raccontare l’America contemporanea e di mettere punti fermi sulla storia (tragica ed epica al contempo) del narcotraffico dei cartelli messicani.
Un’escalation incredibile, un crescendo rossiniano senza freni, iniziato con lo straordinario Il Potere Del Cane (2009) e seguito da Il Cartello (2015), opera che riusciva nel miracolo di superare di una spanna il già inarrivabile predecessore. Mai avremmo pensato, allora, che il terzo capitolo, Il Confine, fosse ancora più bello degli altri due.
Non è solo la solita, perfettamente oliata, scrittura “cinematografica”, che rende Winslow uno dei pochi autori che hanno il potere di far vedere, come al cinema, quello che scrivono. Il Confine, infatti, alza ulteriormente l’asticella della complessità della trama, creando nuovi personaggi e rivoli di storie parallele a quella principale, che solo un grande romanziere può tenere insieme creando una perfetta armonia, in modo che tutte le tessere del puzzle combacino in un quadro d’insieme che esterrefatti.
Non c’è una sola pagina, delle novecento e passa del libro, che non si divori con feroce ardore: i palpitanti colpi di scena si susseguono senza soluzione di continuità, e tutte le storie e i nuovi personaggi, che soprattutto nella prima parte del libro rendono Art Keller una figura quasi secondaria, hanno una ragione d’essere nell’economia del romanzo e sono talmente ben concepite che potrebbero essere abbrivi per interessantissimi spin off.
Sarebbe, però, ingeneroso relegare Winslow al ruolo di ottimo scrittore di polizieschi, cosa che, ovviamente, è. Lo sguardo del romanziere newyorkese, infatti, mai come oggi è rivolto al tessuto sociale del proprio paese, che racconta senza retorica, ma con evidente e militante partecipazione politica: l’immigrazione, il muro, Trump, le strette e pericolose connessioni del potere economico e politico americano con la criminalità organizzata, e un’umanità ai margini, composta di tossici, prostitute e migranti, fotografata senza filtri se non quello di un’appassionata e partecipata pietas. Insomma, Winslow, pur essendo passato dalla porta di servizio di un genere di intrattenimento, è oggi diventato uno dei maggiori narratori americani, al pari di Tom Wolfe e James Ellroy. Una lettura indispensabile di cui vi innamorerete perdutamente.