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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
26/10/2020
LEDI
Il confine oltre cui trovare equilibrio
Nuovo disco, nuova scrittura, nuova piccola rivoluzione per un Artista del pensiero, della parola e dei suoi spazi contemplativi. Lo ha intitolato “Il cinema è vuoto” e custodisce canzoni sghembe, canzoni che provocano la forma e l’estetica, canzoni che minacciano rivoluzione nelle soluzioni metriche, irriverenza e libertà che nasce e resta vigile fin dentro la didattica dei suoni ...

“Il cinema è vuoto perché se alle cose della vita togli tempo e spazio si ha un accadere senza taccuini pieni, un incedere senza paesaggio”.

(Ledi)

 

Torno a scrivere di un amico, di un compagno di viaggio, di un’anima speciale che porto dentro le vene come fosse il pensiero di qualcosa di bello da fare domani. Purtroppo la distanza, che diviene distanza soprattutto oggi, purtroppo la mia pigrizia che si fa calda vicino al camino, purtroppo tante scuse comode mi lasciano sempre lontano anni luce da anime come la sua. E la rabbia si fa gioco perverso pensando che in fondo, penne come quella di LEDI meriterebbero un cinema pieno di ascolti invece che l’indifferenza educata ed “educativa” che oggi impera professionalmente ovunque. Nuovo disco, nuova scrittura, nuova piccola rivoluzione per un Artista del pensiero, della parola e dei suoi spazi contemplativi. LEDI è un cantautore di silenzi, non di suoni roventi. Nuovo disco, dicevo, che al suo tempo (e a sua insaputa) nasceva fotografando il futuro di oggi. E tra l’una e l’altra cosa sono passati solo pochi mesi in fondo…

Lo ha intitolato “Il cinema è vuoto” e custodisce canzoni sghembe, canzoni che provocano la forma e l’estetica, canzoni che minacciano rivoluzione nelle soluzioni metriche, irriverenza e libertà che nasce e resta vigile fin dentro la didattica dei suoni e del politicamente corretto. “Il cinema è vuoto” sa di artigianato d’autore, difficile e scivoloso, per niente immediato e raggiungibile con poco, viste anche le spesso povere risorse intellettive. Però affascina la quadra che lascia al tutto, l’equilibrio che si pennella dentro questi lunghi spazi di seta… però affascina come dentro questo piccolo suono trionfi sempre una poetica di parole quotidiane mai sacrificate al perbenismo popolare. Affascina sempre la libertà di un artista… ed è questo il raro caso in cui questa libertà non sia solo fatta di chiacchiere pubblicitarie.

Penso al pop d’autore, penso ai cantautori famosi, ai nuovi “poeti” che gongolano a sentirsi chiamare in causa ogni volta. Penso anche io a chi diceva che la forma è sostanza e poi penso anche a chi ha saputo prima inventarsi una forma per poi farla riconoscere tale dalla pubblica piazza perché avesse senso la sostanza che aveva di dentro. Ma al suo tempo la storia era ben altra e ci raccontava di un popolo capace di stare in silenzio, curioso di conoscere il nuovo e felice quando poteva incontrarlo. La storia, a quel tempo, raccontava di artisti e delle nuove forme che avevano dentro. Ma la domanda è: la storia è quella che accade o quella che conviene raccontare? Perché in fondo anche i libri di storia hanno un numero di pagine contate e decise a priori per meglio vendere. Bisogna scegliere cosa scrivere e cosa ignorare, è inevitabile. Ho solo paura che stiamo prendendo l’abitudine a celebrare il luogo comune condannando con troppi automatismi il diverso e la nuova forma. Se evitassimo di fare questo ogni giorno, forse, LEDI avrebbe il suo posto dentro la storia… forse tanti come lui avrebbero posto… e che bella rivoluzione sarebbe, amici miei!!!

Partiamo da questo titolo. È passato un anno di solitudini e di silenzi. So benissimo che non è didascalico al lockdown, al virus… ma forse un poco lo è. Perché questo “Cinema è vuoto”?

Il lavoro è stato prodotto ben prima ma purtroppo il destino vuole che un'immagine evocativa di tutt'altro sia diventata la triste realtà. Il cinema è vuoto perché non c'è più spazio per il racconto, per la narrazione intima, quella che richiede un tempo ed uno spazio doveroso per la propria espressione e godimento. Il cinema è vuoto perché se alle cose della vita togli tempo e spazio si ha un accadere senza taccuini pieni, un incedere senza paesaggio. Fondamentalmente si resta inutili come sempre, ma senza la grazia di godere della poesia dell'inutile.

Un terzo disco che io amo definire di silenzi. Ci sono tante pause, tante melodie che riflettono e chiedono riflessione. È una pausa tutto questo? Una contemplazione?

Si, senza dubbio. È un lavoro da tarda sera o addirittura notturno, da ascoltare bevendo e fumando qualcosa, da soli. Completamente proiettato internamente, si passa dalle fotografie del presente a

quelle del passato cercando di mantenere sempre il filo di voce come chiusura del cerchio.

E questo suono che a tratti si fa desertico, che a tratti si fa talmente snello che puoi vederlo controluce. Questo disco non cerca la melodia da fischiare. Ostico anche sotto questo punto di vista. Raccontacelo…

Pochi strumenti, tutti suonati in acustico. Il pianoforte a far da padrone, qualche chitarra, rari effetti. Uno dei pochi vantaggi di essere realmente indipendente è che se senti di aver dentro un disco

così, un lavoro che sai non prenderà i like dei dischi precedenti e completamente fuori mercato, ti concedi di farlo. Se vuoi raccontare una parte di oscurità e dei silenzi che porti nel cuore, perché non

farlo? Non piacerà? Possibile, ma il dovere di chi crea è dire se stesso e la propria visione della realtà, non di piacere agli altri. Ero così quando scrivevo...

“Il cinema è vuoto” lo sottolineo come un disco libero dai cliché. E per te, Ledi, che significa la libertà in tal senso?

Io credo che alcune categorie si valutino per difetto. Mi spiego meglio, non c'è la persona più libera ma quella meno schiava. Valuterei questo lavoro in tal senso.

Che poi paradossalmente la libertà è una soluzione buona per star fuori dai giochi, dai “regimi” regolamentati, dai cliché che determinano l’appartenenza… non sei d’accordo?

Assolutamente sì, ma potrebbe risultare anche una scusa per non affrontarli i giochi. Ecco perché ha senso continuare ad esserci. Per quanto sia una tiepida proposta in un panorama artistico smisurato e a tratti delirante, sottrarsi dal gioco non sarebbe altro che dare più credito al gioco stesso.

Eppure ci sono momenti di bella melodia. “Pioggia Nera”, “Semafori”… è una battaglia assurda, tra estetica e contenuto. Come la gestisci, come trovi un equilibrio…

Non ricordo chi disse che la forma è sostanza, ma aveva una bella fetta di ragione. Certamente la forma non è tutto ed è subalterna al contenuto, ma dice comunque moltissimo di ciò che andiamo ad ascoltare. Sull'equilibrio cerco di lavorare sempre nel momento dell'ideazione, quando pensi al disco nell'insieme e non come somma di brani. Se l'idea è equilibrata lo sarà anche il lavoro...

Ma in fondo, artisticamente parlando, un equilibrio va trovato?

Domanda tanto difficile. D'istinto risponderei di no ma la ragione mi porta a chiedermi cosa ci sia oltre il confine dell'armonia. Ecco, dipende da cosa si trova. Se si incontra la nobiltà del disagio, della passione (anche a tratti distruttiva per sua natura), di una follia pulita dal niente contemporaneo allora ben venga tutto ciò che non è armonico, perché porta con sé il germe della verità, e soprattutto

della rivoluzione interiore. Se invece oltre il confine troviamo l'incapacità di stare nel confine, o quella di riuscire a metterlo in discussione, siamo nei guai.

L’amore. Mi piace sottolineare questa parola. Prima ancora che un sentimento è una contemplazione anch’essa. Amore per il tuo tempo, per una città, per il tuo passato, per chi ti accompagna. Paradossalmente in questi tempi di superficialità, c’è l’amore che torna ad ispirarti o sbaglio?

Amare sempre tutto ciò che si fa. Che sia una compagna, un'arte, uno sport, un lavoro, un hobby, qualsiasi cosa, amarlo. Dal caffè la mattina all'ultimo amaro prima di andare a dormire. Ogni passo,

veramente ogni respiro. Amare sempre, ogni stagione è un privilegio.

Parliamo di questa scrittura che sento tanto istintiva, fuori metrica, fuori rigori, fuori cliché. Un lavoro che ha la vita dentro e quel retrogusto battistiano in alcune parti, quel certo gusto di città antiche che aveva Baglioni, quel modo intimo e segreto che spesso aveva Gianmaria Testa. Oppure? Cos’altro ci vedevi dentro quando hai scritto queste liriche?

Avevo in mente Claudia, il bambino che mia sorella stava pensando e quanto fosse lontana, le birre a chiudere le giornate, l'inverno che si prendeva casa, il bambino che porto dentro e che ogni giorno si innamora di un pallone, le vene che si aprono, respiri frammentati di freddo, ogni giorno a lavoro come andare a caccia, la chitarra di Manu, Alba e mezz'ore che tornano a durare di più. E un po' di vuoto, purtroppo.

E chiudiamo dall’inizio della storia. Chiudiamo pensando alla copertina. Questa immagine che hai scelto, lontano dalla scontentezza di forme conosciute. E il cerchio non solo si chiude ma si conferma, si celebra il senso, tutto torna e continua a valere. Ho come l’impressione che per darne un senso ci si deve fermare e mettere a fuoco o giocare con la propria fantasia...

Immaginavo il drappo porpora di un sipario che si chiude, perché con questo lavoro si chiude un percorso cominciato con poca barba e giunto ad una barba nella quale ogni giorno spunta un nuovo pelo bianco. Nell'ultimo brano però si respira ancora la pioggia nera... vediam dove ci porta.


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