Di fronte a certi racconti si può essere fermamente scettici e bollare tutto come il frutto artificioso di qualche fervida mente in cerca di brividi oltre che di note. Oppure, opened mind, si può lasciare uno spazio alla possibilità che ci siano storie che, per quanto possano apparire strampalate, abbiano quanto meno un fondamento di verità. Io, ad esempio, amo pensare che Robert Johnson abbia davvero venduto l'anima al diavolo in cambio di un talento chitarristico immenso; o ancora, che Richey Edwards, chitarrista dei Manic Street Preachers, sparito misteriosamente nel 1995 senza lasciare traccia alcuna, sia ancora vivo, chissà dove. Non sono un fan credulone che si beve aprioristicamente ogni bufala o possibile tale. Eppure, mi è impossibile non soggiacere al fascino del mistero, alla suggestione che la realtà possa aver preso una piega diversa da quella che le persone di buon senso ritengono l'unica plausibile.
Tra tutte le storie del rock, ce n'è una che mi sembra più intrigante delle altre. È una storia molto curiosa, forse perché per la prima (ed unica) volta si sono spesi fiumi di inchiostro non per dimostrare che una rockstar deceduta sia ancora in vita (vedi i casi Jim Morrison ed Elvis Presley, ma per asseverare esattamente il contrario: e cioè, che un artista, che tutti crediamo vivo e vegeto, sia in realtà morto da quasi 45 anni. Questa è la storia di sir Paul McCartney, leader indiscusso, insieme al compianto John Lennon, dei Beatles, il più grande gruppo pop che la storia ricordi. Paul is dead, cioè Paul è morto, è il nome che a questo (apparentemente folle) racconto hanno dato migliaia di fans, giornalisti, studiosi che dal 1969 elaborano, con dovizia di prove e argute intuizioni, una teoria volta a dimostrare che quello che attualmente calca i palchi di tutto il mondo con la propria musica non è il Paul McCartney che fondò i mitici Fab Four. Non lo sarebbe più dal 9 novembre 1966, quando a seguito di un terrificante incidente d'auto avrebbe perso la vita, a causa delle gravissime lesioni riportate alla testa. La notizia della morte fu però sempre taciuta da Lennon, Starr ed Harrison e da tutto l'entourage della Apple: il rischio di renderla pubblica avrebbe comportato la rottura di un ingranaggio ben oliato, lo scioglimento del gruppo e quindi un ingente danno economico. D'accordo con Brian Epstein, i tre scarafaggi superstiti avrebbero quindi deciso di sostituire il povero Paul con un sosia, che prendesse il posto del bassista in tutto e per tutto. Questa storia viene raccontata superbamente da Fabio Andriola e Alessandra Galante nel loro "Il Codice McCartney", un esaustivo ed emozionante saggio sull'argomento, scritto coi ritmi del thriller, precisione storica e coinvolgimento da appassionati. La teoria sulla morte di Paul viene dai due autori sviscerata in tutta la sua evoluzione, riprendendo ed analizzando gli elementi più noti (messaggi subliminali che si posso cogliere, ascoltando i brani dei Beatles alla rovescia, gli ammiccamenti alla morte di Paul contenuti nelle copertine degli album, il famoso indizio del tricheco di Magical Mistery Tour, la passeggiata sulle strisce pedonali di Abbey Road),e proponendone di nuovi, soprattutto alla luce dei progressi della tecnologia (misurazione del cranio, confronto dei padiglioni auricolari, colore degli occhi, etc.).Tutti elementi che suggeriscono ragionevolmente che il dubbio sollevato dalla teoria "Paul is Dead" potrebbe avere qualche elemento di veridicità.
Di certo si può affermare che, da un confronto effettuato in modo scientifico fra le foto ante 1966 e quelle post 1966, il volto di McCartney presenta differenze marcatissime. Ci sono, infatti, alcuni tratti del viso che sono precise peculiarità di ciascuno (le orecchie, il diametro dell'ovale, l'attaccatura del naso alla bocca) che non si modificano con il passare del tempo, ed altri invece che potrebbero essere modificati, ma solo a seguito di operazioni di chirurgia estetica estremamente invasive (palato).
Questi tratti, con riguardo a McCartney, non risultano più compatibili fin dal lontano 1967, e cioè fin dalla celeberrima copertina di "Sgt.Pepper", sulla quale al posto del bassista comparirebbe qualcun altro. Allucinazioni? Fantasticherie? Forzature? Ognuno, alla fine del libro, si sarà formato il proprio personale convincimento. Un convincimento che non sarà però solo frutto di prove indiziarie (la figlia tedesca di McCartney, la mancata partecipazione di Paul al funerale del padre, i messaggi da decriptare di Lennon, le dichiarazioni minacciose dell'ultima ex-moglie, una carriera post Beatles incongrua rispetto alla geniale creatività dei primi anni sessanta), ma anche di seri e autorevoli contributi scientifici. Che Paul sia Paul o solo un Fake Paul (Fa-ul), un sosia cioè, è un interrogativo ancora aperto e ricco di indiscutibile fascino. A prescindere dal quale, resta e resterà intatta, nei secoli dei secoli, la magica bellezza di canzoni eterne come Yesterday e Let It Be. Chiunque le abbia scritte.