Il punto è che Il cimitero di Praga alla sottoscritta non è piaciuto. E allora ho cominciato a leggere le recensioni online e a confrontarmi con chi lo avesse letto; vi assicuro che non ho trovato una sola persona che non ne parlasse come un capolavoro. E chi non lo aveva gradito motivava la propria opinione con quei commenti tipo “Troppo difficile”, “Troppo erudito” che nemmeno vanno presi in considerazione quando si parla di Umberto Eco. E allora ho deciso di spiegarvi perché il romanzo non mi è piaciuto premettendo appunto che pare sia l’unica lettrice “fortissima” a non averlo apprezzato, e forse per questo sarò condannata ad un inferno di librerie sui cui scaffali ci sono solo titoli di Nicholas Sparks, Chiara Moscardelli, Marcello Simoni e simili. (Solo solo per questo fatemi il favore di leggerlo... cerco compagni di dannazione).
Cominciamo dalla trama. Siamo nella Parigi di fine sec. XIX. Il rigattiere Simone Simonini, colpito da un’amnesia, decide di aiutare la propria memoria a riprendersi redigendo un diario che ripercorra la storia della sua vita. In quest’opera lo aiuta l’abate Dalla Piccola, un personaggio che conosce bene la vita di Simonini nonostante il rigattiere non si ricordi di lui e sembri non conoscerlo affatto. Man mano che le annotazioni proseguono si scopre che Simonini, in realtà è stato una spia ed un falsario. Cresciuto in un ambiente familiare retrivo e bigotto, ha un pessimo carattere, insensibile, intollerante, misogino, anticlericale, soprattutto antisemita. Non fa vita sociale e vive in maniera molto spartana, senza concedersi alcun piacere se non quello della gola, nonostante la falsificazione di documenti per privati gli consenta di guadagnare bene e avere una certa agiatezza. Infatti, sin da giovane, lavorando presso un notaio piemontese, impara a falsificare documenti e diventa talmente abile da essere assoldato come spia per il governo sabaudo. Successivamente si trasferisce a Parigi dove, lavorando prima per il controspionaggio dell’impero, poi per la Repubblica, per la Prussia, per i Russi - «[…] non bisogna mai servire il proprio padrone attuale … bensì prepararsi per quello successivo» - si infiltra in vari contesti, per esempio negli ambienti anarchici, e commette diversi omicidi.
Nel frattempo, comincia a comporre un documento che dovrebbe provare un complotto contro i cristiani e finalizzato alla presa del potere da parte dei rabbini a capo delle comunità ebraiche europee. Per rendere il documento il più verosimile possibile, si avvale di materiale desunto da letture, colloqui con personaggi di vario tipo e di diversa influenza politica, e arriva a plagiare apertamente testi scritti da altri. Il documento, intitolato I Protocolli, è infarcito di pregiudizi e luoghi comuni sugli ebrei, dipinti come cospiratori, sovvertitori dell’ordine, nemici della società e dei cristiani, alleati dell’alta finanza, usurai, infidi e via dicendo... insomma, gli ebrei come il coacervo di ogni male: «Non puoi creare un pericolo dai mille volti, il pericolo deve averne uno solo, altrimenti la gente si distrae».
Tutto il romanzo è basato sulla redazione dei Protocolli, e sulle attività di spionaggio di Simonini. In tal modo, Eco ripercorre tutti i fatti più significativi dell’Europa del 1800, dall’impresa dei Mille, all’affare Dreyfus, alla diffusione del falso I protocolli dei savi di Sion ad opera dell’Okhrana, che tanto peso avrà nei tragici eventi del ‘900. Eco stesso, nella postfazione, afferma che, tranne Simonini e poche figure minori, di fatto tutti i personaggi del romanzo sono realmente esistiti.
Questa mole di informazioni storiche ha spinto molti, critici e lettori, a ritenere Il cimitero di Praga un libro difficilissimo che richiede una preparazione storica accurata, altrimenti rischia di confondere e disorientare il lettore. Sono di parere nettamente opposto: il libro mi ha annoiato e mi è parso “scontato” (già mi si palesano dinanzi agli occhi gli scaffali della libreria infernale…) proprio perché mi era noto lo sfondo storico, la temperie culturale e politica del momento; è questo che lo ha reso per me prevedibile. Nel romanzo c’è tanta erudizione, tanta storia, tanta cultura, tanti fatti, troppi. Ecco: forse il problema è questo. Avrei preferito che, dalla sterminata mole di fatti Eco lavorasse “a levare” come faceva Michelangelo scolpendo il marmo. In effetti, anche ne Il nome della rosa c’è tanta erudizione e tanta storia, eppure il risultato finale è molto diverso e molto più efficace, e nel mio caso, quel periodo storico mi era ancor più familiare e noto. Basti pensare all’enigma di fondo: come si è detto, alle rievocazioni del falsario si aggiungono i commenti e i contributi dell’abate Dalla Piccola. Anche questo personaggio è interessato al documento contro gli ebrei; egli, inoltre, frequenta gli ambienti massonici, e intende ordire a sua volta un complotto anti-cattolico, avvalendosi di qualsiasi mezzo, aiutato in ciò da alcuni complici. Ebbene, il particolare rapporto tra Simonini e l’abate costituisce il nodo del romanzo, anch’esso perfettamente calato nel contesto storico che fa da sfondo agli eventi, nodo che, ovviamente, non posso sciogliere per non rovinare l’effetto sorpresa in coloro che non hanno letto il libro e hanno intenzione di leggerlo. Tuttavia, (e a mio avviso il vero effetto sorpresa sta proprio qui) ad essere onesti lo scioglimento dell’enigma sul rapporto Simonini/Dalla Piccola è abbastanza prevedibile già dall’inizio, il che è deludente dal momento che stiamo parlando di un romanzo di Eco, un autore delle cui opere tutto si può dire tranne che siano prevedibili.
Anche il fatto che il Narratore si rivolga direttamente al lettore, addirittura fornendo uno schema di interpretazione della fabula e dell’intreccio, mi ha trasmesso un che di “falso”, di forzato, senza contare che, nel leggerlo, il pensiero va subito ai 25 lettori di Manzoni e ci si sente catapultati in V liceo, a sentire la prof che spiega il romanzo storico!
E che dire del protagonista? Qualcuno ha parlato in termini entusiastici di anti-eroe per la sua caratterizzazione tutta in negativo ma anche questa non mi pare una novità, senza contare che, in alcuni momenti, la negatività di Simonini appare un tantino eccessiva.
Intendiamoci però: con queste mie affermazioni (eretiche) non voglio dire che Il cimitero di Praga in fin dei conti sia un libro “brutto”, non oserei mai (e non lo dico per avere almeno Il paradiso perduto di Milton nella ormai inevitabile libreria infernale): ci sono pur sempre le meravigliose e minuziose descrizioni degli ambienti, l’ironia di Eco nel tratteggiare i personaggi –mordaci le parole di Simonini sulla religione o sulle donne per esempio: «Gli uomini non fanno mai il male così completamente ed entusiasticamente come quando lo fanno per convinzione religiosa», «[…] la differenza tra una fata e una strega è solo di età e di avvenenza».
Parlando di un autore qualsiasi, tutto questo sarebbe sufficiente, ma, ripeto, in questo caso si tratta di Eco e le aspettative che si hanno nell’accostarsi ad un suo romanzo questa volta non sono state rispettate. Eco è l’autore delle grandi idee e trovate narrative e da queste doti derivano, a mio avviso, le pecche de Il cimitero di Praga, proprio come del resto, dice anche Simonini: «Le persone con poche idee sono meno soggette all’errore».