Seconda di quattro figli, Jeannette Walls (Brie Larson) è cresciuta in una famiglia dai caratteri disfunzionali: il padre Rex (Woody Harrelson), poliedrico, bizzarro e di grande intelligenza, non riesce a tenersi né un lavoro né i soldi per via dell’alcol. Perde al gioco d’azzardo e costringe tutti a una vita nomade per sfuggire ai creditori. La madre Rose Mary (Naomi Watts), artista e insegnante, è insofferente a qualsiasi responsabilità e sostiene che i bambini debbano cavarsela da soli, che si tratti di procurarsi cibo, rammendarsi i vestiti o avere cura di sé. La quotidianità dei fratelli Walls è un bizzarro mix di meraviglia, funambolismo e tragedia: Rex si occupa dell’istruzione dei figli insegnando loro geologia, astronomia e letteratura, con lezioni sotto le stelle, ma i fratelli devono imparare presto a tenere a bada l’incoscienza dei genitori. Eppure, nonostante tutti loro sapessero che solo volando via da quell’insolito nido familiare avrebbero trovato salvezza, nessuno smette, anche solo per un momento, di pensare con affetto alla propria infanzia. Jeannette in particolare, è riconoscente nei confronti di quegli assurdi genitori, perché le hanno fatto il più prezioso dei doni: un amore incondizionato, di quelli che lasciano liberi di sognare e realizzare qualunque progetto. È così che Brie Larson porta in vita una giovane donna che, influenzata dalla natura piacevolmente selvaggia del padre, trova la determinazione di costruirsi una vita di successo, seguendo le proprie regole.
La storia è tratta dall’omonimo libro sulla vita di Jeannette Walls, giornalista e scrittrice americana che ha trasformato la sua giovinezza in una grande avventura verso la redenzione: passando attraverso la fame e la crisi, la Walls ha provato sulla sua pelle tutta la luce e le tenebre del mondo. Il risultato: un libro e un film di quelli che scavano nel profondo, sulla natura intrinseca e trascendentale dell’amore, a prescindere da ciò che si è o da dove si provenga. Quella raccontata da Il Castello di Vetro cioè, è una storia che ti fa sentire più connesso con il mondo e meno solo. Una storia anche molto cinematografica: una fiaba che racconta di una vita vissuta in auto e in baracche, fino ai vertici dell’editoria di New York, a cui il regista e co-sceneggiatore Daniel Cretton ha lavorato con grande empatia, senza addolcire nulla, mostrando anzi, tutte le sfaccettature della vita di famiglia. Un momento ti fa innamorare di un personaggio, ma poi questo fa qualcosa per farsi odiare, e dopo qualche scena, si fa ancora amare. Quello che ci viene mostrato è dunque un insieme di esseri umani simpatici, affascinanti, in qualche modo difettosi, come tutti noi. È così che il film ottiene delle connessioni davvero profonde con gli spettatori. Complice certo, anche l’interpretazione magistrale degli attori: Brie Larson, dal ruolo tanto coraggioso quanto drammatico di madre in Room (che le ha portato l’Oscar come miglior attrice nel 2015), a figlia determinata e dai valori ben saldi; si riconferma in grado di conferire grande spessore ai ruoli interpretati. Per un padre così magnetico ed eclettico Woody Harrelson non poteva essere più adatto data la duttilità mostrata in più di un ruolo di successo (Tre Manifesti a Ebbing Road, True Detective, Hunger Games…); e Naomi Watts (due volte candidata agli Oscar) regge benissimo la sfida di un ruolo così anarchico, eternamente infantile, miscuglio di contraddizioni.
Ne consegue un film come ne mancavano da tempo, un film in grado di far riflettere, piangere, ridere e perché no, anche aver voglia di fare una telefonata ai propri genitori, qualunque siano i rapporti esistenti. Il Castello di Vetro mostra infatti, quanto recitato da un famoso proverbio cinese: “Vi sono due cose durevoli che possiamo sperare di lasciare in eredità ai nostri figli: le radici e le ali”; anche attraverso il più disfunzionale dei metodi.