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MAKING MOVIESAL CINEMA
Il Buco (El Hoyo)
Galder Gaztelu-Urrutia
2020  (Netflix)
HORROR FANTASCIENZA THRILLER
all MAKING MOVIES
29/03/2020
Galder Gaztelu-Urrutia
Il Buco (El Hoyo)
È potente la metafora (ovvia) su come gira il mondo, ma pure per quei richiami fortemente biblici (i gironi infernali man mano che si scende, 666 le persone presenti in totale, un bambino da mandare nel mondo come messaggio).

Come funziona è ovvio: ci sono un n° x di livelli, ad ogni livello due occupanti.
La piattaforma con il cibo scende carica e perfetta dal buco: dal primo livello continuerà la sua discesa, ognuno ha qualche minuto per mangiare tutto quello che vuole.
Vietato tenersi del cibo da parte.
O il livello si scalderà o si raffredderà fino a farti morire.
Tutto il resto è permesso.
Anche uccidere, se si è nel fondo.
Se se ne ha voglia.
Perché come diceva mio nonno: "Beati gli ultimi, sì, se i primi hanno creanza!".
Passato un mese si sentirà un odore di gas e ci si risveglierà in un nuovo livello.
Più in alto o più in basso.
Senza una logica. Forse.
Perché in questo mondo a sé che è Il Buco ci sono solo tre tipi di persone: quelli in alto, quelli in basso, quelli che cadono.
Ed ogni risveglio fa davvero paura.

Altre regole: ogni occupante ha diritto a portarsi un solo oggetto (o animale).
I più furbi, e fa male definirli tali, si portano armi.
Quelli che la rivoluzione vorrebbero farla: un libro, un cane.
Perché ci si prova, a fare la rivoluzione.
Ci prova Goreng, che è lì come volontario, non per scontare una pena.
È lì per prova, per smettere di fumare.
Si ritrova così in un mondo terrificante e con delle regole con cui è davvero difficile vivere, resistere.
Trova compagni di livello che lo istruiscono, lo sfruttano, lo aiutano.
Ed è agghiacciante.

L'idea stessa de El Hoyo è agghiacciante: ricorda l'istallazione svizzera dell'Expo milanese, dove i beni primari (rappresentati dall'acqua, il sale, il caffè) erano resi disponibili gratuitamente a tutti.
Una piattaforma scendeva mano a mano che questi beni finivano nel loro livello.
Arrivati a settembre, a poche settimane dalla chiusura, i responsabili si scusavano: si era già da un pezzo al piano terra, erano rimaste giusto qualche bustina di sale, qualche altra di caffè.
Ah, l'umanità!
I primi che tutto arraffano, gli ultimi che vivono di briciole.
Succede lo stesso nel Buco, in cui anche chi è entrato con le migliori intenzioni è costretto a venire meno alla sua morale, a se stesso. O forse, a diventare se stesso, a diventare quello che in sostanza l'essere umano è.

È agghiacciante in senso positivo la scrittura densa e fluida portata su schermo da Galder Gaztelu-Urrutia: da Trimagasi che racconta la sua storia personale, le ovvie regole del gioco, e incanta con la sua parlata: ritmata, essenziale.
È potente la metafora (ovvia) su come gira il mondo, ma pure per quei richiami fortemente biblici (i gironi infernali man mano che si scende, 666 le persone presenti in totale, un bambino da mandare nel mondo come messaggio).
Si fatica, c'è da ammetterlo, a vedere un film così claustrofobico, violento e agghiacciante.
Dalla fotografia volutamente patinata, con la perfezione di quella tavola imbandita a fare da contrasto con le brutalità di cui i prigionieri sono capaci.
In quell'ultima discesa verso gli inferi che sembra non aver davvero fine, in quelle breve visioni di corpi mutilati, cannibalizzati, sacrificati... Resistere, è difficile.
E il peso al petto che in questi giorni di quarantena non molla, si fa via via più pesante.
Così, quel finale sospeso, aperto ad ogni interpretazione, non aiuta ad alleggerire le notti, siete avvertiti.


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