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REVIEWSLE RECENSIONI
01/07/2019
Bad Books
III
III circoscrive uno spazio musicale intimo, colloquiale e stranamente rilassato, anche quando il peso degli argomenti trattati potrebbe offuscare la nitidezza del songwriting

Non è certo un nome noto alle nostre latitudini, quello dei Bad Books, nonostante la band sia però, in circolazione dal 2010, ed abbia alle spalle già due album molto interessanti, che negli States hanno avuto un discreto successo grazie a qualche singolo ben accolto anche a livello commerciale (Forrest Whitaker).

Loro arrivano da Atlanta e nascono dall’incontro fra il singer songwriter newyorkese Kevin Devine e dal cantante e chitarrista Andy Hull, noto ai più per essere il leader della band indie rock dei Manchester Orchestra. Dal sodalizio fra i due nasce questo progetto, che fonde con intelligenza le diverse anime della band, una che guarda al folk (Devine), l’altra invece indirizzata verso sonorità più moderne e contigue al rock (Hull).

Se nei dischi precedenti i due generi si compenetravano con efficacia, questo III è un lavoro decisamente più virato verso il folk. Chitarre acustiche, pianoforte, intrecci vocali e una spruzzatina di elettronica sono gli ingredienti del piatto servito dalla casa. Tanto che, almeno per questo nuovo lavoro, qualcuno ha paragonato il duo (in realtà c’è anche Robert Mc Dowell alla chitarra) addirittura a Simon e Garfunkel (ma vengono in mente anche nomi come Everly Brothers e Milk Carton Kids).

I brani che compongono la scaletta sono stati registrati dai tre all’insegna della semplicità e di una povertà di arrangiamenti a volte quasi francescana, dando vita a uno storytelling intimo e raccolto, che a qualcuno potrà ricordare le prime cose del duo, quando Devine e Hull condividevano il palcoscenico, con un tale affiatamento e sincronismo da lasciare senza fiato gli spettatori.

Ci sono, ovviamente, episodi che, pur nella loro ossatura folk, si vestono di cangianti colori indie, e colgono il segno con orecchiabili melodie che entrano in circolo alla velocità della luce. In tal senso, Myths Made Plain e I Love You, I’m Sorry, Please Help Me, Thank You evaporano nella leggerezza di una soleggiata mattina di primavera e uncinano le orecchie con una dolcezza che lascia storditi. I Bad Books sanno regalare molti momenti davvero intensi, anche quando camminano scalzi nella sussurrata melodia di The Neighborood, che evoca la cifra stilistica e la fragilità emotiva di Elliott Smith, o usano con sapienza un filo di elettronica nell’iniziale, struggente, Wheel Well.

III circoscrive uno spazio musicale intimo, colloquiale e stranamente rilassato, anche quando il peso degli argomenti trattati potrebbe offuscare la nitidezza del songwriting (in The Neighborood, ad esempio, si parla di omofobia, Myths Made Plain ha una connotazione politica e I Love You, I’m Sorry, Please Help Me, Thank You parla degli errori che commettono i genitori – entrambi, per inciso, sono diventati da poco padri).

Solo nel finale, con i nove minuti di Army, il disco si apre a un lungo flusso riflessivo sulla follia della guerra (è la storia di un soldato che si toglie la vita), in cui una malinconia velata di epica si dipana su un intreccio (e crescendo) di voci, chitarre e tastiere. Una canzone bellissima che suggella un album dai colori tenui e dalle dolci melodie, che piacerà molto a chi ama il folk nella sua accezione più indie.


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