Questo disco è un’avventura sonora ricca di fascino, un viaggio in un mondo musicale complesso, forse addirittura respingente per taluni (coloro che non sono abituati a sonorità estreme), eppure talmente emozionante e ricco di suggestioni, da meritare tutta l’attenzione possibile.
Negli ultimi sei anni, Ihsahn non è stato certo con le mani in mano, dal momento che dal 2020 ha pubblicato tre EP (Telemark, Pharos e Fascination Street Sessions), ma un lavoro solista sulla lunga distanza da parte del frontman degli Empereor mancava da Amr, pubblicato nel 2018. C’era quindi grande attesa per il nuovo album di un artista straordinariamente talentuoso e dal songwriting ricco e sfaccettato.
Questo nuovo disco omonimo rappresenta al meglio tutto ciò che ha reso distintivo e straordinario il suo intero catalogo solista, enfatizzando, però, maggiormente, gli arrangiamenti sinfonici e melodie più delicate e orecchiabili, tanto che potremmo definire questo nuovo corso come il più accessibile (si fa per dire), e un’esperienza di ascolto in grado di soddisfare gli amanti del metal (da sempre declinato nella sua accezione più progressive e atmosferica), e coloro che sono curiosi di addentrarsi in territori inesplorati.
L’intento di Ihsahn (al secolo Vegard Sverre Tveitan) è da sempre quello di sperimentare, di spingersi oltre gli seccati di genere, e con questo lavoro l’asticella viene alzata un po’ di più. Se l’ossatura del disco resta, e non potrebbe essere diversamente, legata al black metal, le undici canzoni del disco presentano anche scintillanti arrangiamenti orchestrali, ispirati alle colonne sonore classiche di artisti del calibro Jerry Goldsmith, John Williams, Bernard Herrmann e John Carpenter.
Il risultato è un disco che esplora suggestioni agli antipodi, da un lato, cupa violenza, dall’altro, digressioni melodiche e avvolgenti, in un connubio ricco di contrasti e di chiaroscuri. Una resa concettualmente complicata, che in mano ad altri avrebbe potuto suonare forzata come la tessera di un puzzle inserita testardamente nello spazio sbagliato, e che invece nello specifico si dipana in modo naturale, senza astruse manipolazione, come se oscurità ed elettricità trovassero un perfetto e indispensabile equilibrio nell’epos degli arrangiamenti, nelle digressioni cinematografiche e nell’immediatezza di centrate melodie.
Prendiamo ad esempio i tre brani strumentali presenti in scaletta (l'apertura "Cervus Venator", l'interludio "Anima Extraneae" e la chiusura "Sonata Profana"): durano circa novanta secondi ciascuno, la loro sublime semplicità e armonia aggiungono bellezza cinematografica e coesione all'intera esperienza, funzionano bene come splendidi passaggi indipendenti, ma il loro potere più grande deriva dal permettere a Ihsahn di far fluire la musica in un viaggio musicalmente e tematicamente connesso. A vari livelli, ogni altra traccia dell’album è arricchita da archi, fiati e partiture orchestrali, e alcuni brani (vale a dire, "The Promethean Spark", "Pilgrimage to Oblivion", "Blood Trails to Love" e "At the Heart of All Things Broken") si avventurano in armonie particolarmente coinvolgenti attraverso l’uso del cantato pulito, dimostrando la capacità di Ihsahn di muoversi in un’ampia gamma vocale che non sia solo il growl.
Ovviamente, quanto appena affermato, non significa che l’album non presenti momenti più brutali e passaggi ferocemente ostici, come in "Twice Born" o "A Taste of the Ambrosia", e ancor più nella straordinaria "Hubris and Blue Devils", in cui i frenetici cambi di ritmo conducono verso un giro da incubo su una giostra di un luna park uscito da un film horror.
Oltre alla versione metal del disco, quella, cioè, di cui abbiamo parlato, Ihsahn ne ha pubblicata anche una orchestrale, in cui le canzoni vengono riarrangiate e, in qualche modo reinventate, creando una narrazione secondaria che si affianca e si sovrappone alla narrazione principale. Ovviamente, le tre composizioni strumentali, citate prima, rimangono identiche, mentre le restanti canzoni vengono rielaborate, producendo una vera e propria suggestione da colonna sonora.
Ihsahn è un disco magmatico, audace e ambivalente, al cui ascolto occorre dedicare tempo, pazienza e apertura mentale. Forse, i metallari più incalliti storceranno il naso di fronte ad archi e melodie, mentre altri troveranno indigeribili il cantato gutturale e le partiture più estreme. Il consiglio per tutti è di dare una possibilità all’album, approcciandosi senza preconcetti a queste undici, incredibili canzoni: chissà, magari per qualcuno si trasformerà in disco dell’anno.