Prima o poi, mi dicevo, riuscirò a postare qualcosa che si ascoltava assieme (e con gusto) al liceo. Assieme in tal senso: sia da parte di un gruppetto di asociali e incattivi misantropi rock (fra i quali il sottoscritto) che da parte degli altri, i meno militanti, almeno fra quelli più svegli e meno zombificati dai gusti di regime.
Billy Idol era parte del terreno comune.
Era molto orecchiabile, duro, ma melodico, e quindi popolare e godibile anche fra i meno avvezzi a Neil Young, Jefferson Airplane e Iron Maiden.
Al contempo, anche noi, avvezzi a Neil Young, Jefferson Airplane e Iron Maiden, consentivamo che, a ben ascoltare, Billy Idol era accettabile… poteva andare, insomma… non era male (per così dire).
Certo, a distanza di anni, si può dire che l’ossigenato Idol era già una resa totale di tutto ciò che era davvero outlaw e frontista, nel punk nel folk nell’hard rock; Billy era solo merce, pacchi di vinili e musicassette pronti a essere sbolognati a folle rintronate dalla propaganda, un eroe del nulla buono solo per MTV e Videomusic; e fu Videomusic, infatti, da vera battona della musica leggera, a lanciare in orbita una sequela di bambolotti inglesi (fra cui il nostro Billy) che ancor oggi muovono nostalgie e umidori di ciglia: la nostra nazione, giova ripeterlo, era colonia anglosassone e tanto Videomusic doveva (gli americani, rispettosi delle zone d’influenza, dall’Italia giravano un po’ al largo).
Ma non voglio essere cattivo: il buon William Michael Albert Broads, in fondo, il successo se l’è meritato; Catch My Fall, Rebel Yell, White Wedding e Flesh For Fantasy ancora oggi suonano bene; il resto, inclusi Dancing With Myself e il romanticume di Eyes Without A Face, è, come dire, andante; come certe ragazze che non sono belle, ma neanche brutte, eppur nemmeno carine: simpatiche, insomma; andanti.
Questo accadeva trent’anni fa, però: ora sono tutte carine per default. Una sedicenne (pardon: diciottenne) di oggi è naturalmente carina; ne vedete una davvero brutta? Alte, snelle, gambe diritte, viso e capelli curatissimi, fare discretamente strafottente; basta guardare le foto del mio liceo primi anni Ottanta o i bianco e nero dei nostri genitori per scoprire come, risalendo nel tempo, cresca inesorabilmente l’intensità della coticheria (da ‘cotica’, donna racchia; noto anche coll’accrescitivo, coticone).
Vedete voi quali miracoli opera il benessere capitalista basato sul credito facile combinato col welfare ben temperato delle socialdemocrazie occidentali: raddrizza le gambe, snellisce i fianchi, rassoda le braccia, ingentilisce i nasi, arrotonda vezzoso le natiche; è così e basta.
I poveri sono brutti.
Per riprova basta confrontare le cinesi immigrate a Roma nei primi Ottanta con le loro nipoti attuali: i tratti di quei musi da contadine tracagnotte e storte sono stati trasfigurati (appena tre decenni!) in linee delicate e morbide, che assecondano un sorriso amabile quanto il loro dialetto romano.
Tutto questo in attesa di ridiventare gradualmente racchie… i cicli del capitalismo sono inevitabili: espansione-contrazione, espansione-contrazione…
Ma cosa stavo dicendo di Billy Idol? Buono, andante; passabile, via. Anche su di lui, però, grava l’onere del tempo (critico implacabile) e presto ne resterà ben poco; a parte l’effetto nostalgia sui vecchi coticoni come me.