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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
03/07/2024
Live Report
Idles, 29/06/2024, Flowers Festival, Collegno
Che dire del live degli Idles al Flowers Festival di Collegno? Novanta minuti di altissimo livello, per una band che dal vivo continua a non sbagliare un colpo e che ha davanti a sé un futuro di sicura grandezza.

Dopo averli persi a marzo a Milano, nella prima leg del tour, riesco a recuperare gli Idles durante il loro passaggio estivo, che ha visto il nostro paese toccato con ben tre date. Del resto ormai è così: la band di Bristol ha raggiunto anche dalle nostre parti una popolarità notevole, frutto di una crescita esponenziale che va avanti ormai da diversi anni.

Se il meglio in studio potrebbero averlo già dato (è oggettivamente difficile pensare di poter superare in qualità due dischi come Brutalism e Joy as an Act of Resistance) è anche vero che l’ultimo Tangk ha mostrato una interessante volontà di sperimentazione, un tentativo di non rimanere per forza legati all’impronta Post Punk, che è risultato azzeccato da molti punti di vista.

 

Il Flowers Festival di Collegno è ormai da diverso tempo un punto fermo delle rassegne estive, anche se normalmente ospita nomi più legati alla scena nazionale. La location è piacevole, situata in un parco alla periferia della cittadina, con un palco di grandi dimensioni all’interno di un’area non troppo grande, compresa di servizi e stand vari di cibo e bevande (qui niente token ma comunque prezzi eccessivi, soprattutto per la birra). L’affluenza è più che buona, anche se non c’è il pienone che ci si sarebbe potuti aspettare, almeno dopo il sold out dell’Alcatraz: del resto è così, in Italia anche le realtà più gettonate, al di fuori Milano, Bologna o al massimo Roma, radunano molta meno gente.

È comunque un pubblico numeroso ed entusiasta quello che, alle 22 in punto, accoglie il gruppo che fa il suo ingresso sul palco. L’inizio è affidato a “Idea 01”, traccia di apertura del nuovo album, ritmi lenti e prevalenza dei Synth, in qualche modo paradigma del nuovo approccio al songwriting dei britannici. Funziona benissimo e, in un certo qual modo, fa crescere l’attesa per lo scatenarsi della furia che rende così iconici i loro concerti. E infatti il pezzo successivo è già “Colossus”, col suo incedere marziale e le atmosfere cupe; a metà i cinque si fermano e Joe Talbot invita la folla ad aprirsi in due per un furibondo moshpit sul finale accelerato del brano, durante il quale il chitarrista Jon Kiernan si esibisce subito in uno dei suoi frenetici stage diving.

“Gift Horse”, tra le cose più riuscite del nuovo disco, segue a ruota ed è un’altra grande botta di energia, col pubblico straordinariamente partecipe e le prime file impegnate in un pogo incessante, che coinvolge quasi tutta la platea durante l’esecuzione di “Mother”, altro classico della prima ora.

 

Il gruppo è in forma strepitosa, Joe Talbot nel nuovo look con baffi e capelli rosa è il solito animale da palco, che tiene in pugno tutti con una gestualità ridotta al minimo ed una sensazione di controllo e potenza totale. Gli altri non sono da meno, dal batterista Jon Beavis, eccezionale centro propulsore, bravissimo nel garantire il tiro ai pezzi, sia in quelli veloci sia in quelli più lenti e ritmati.

È proprio in questo aspetto che gli Idles sono apparsi migliorati rispetto all’ultima volta che li ho visti: se nel 2022 il focus era ancora sugli episodi più anthemici dei primi dischi, adesso gran parte della scaletta è dedicata al nuovo disco, ed è interessante vedere come i brani di questo lavoro, a tratti più lenti e riflessivi, in generale molto meno iconoclasti del solito, trovino il loro spazio e ne escano decisamente rivitalizzati: “Dancer”, “POP POP POP” (che comunque spaccano notevolmente), “Gratitude”, la decadente ballata “Roy”, fanno una gran bella figura, accanto a quelli che sono gli estratti dal non eccelso Crawler che meglio hanno resistito alla prova del tempo, come “Car Crash” (satura e ossessiva al punto giusto) e “The Beachland Ballroom”.

Ritmiche spesso di derivazione Hip Hop, gran lavoro di Synth, chitarre minimali e a tratti quasi atonali, il “nuovo corso” degli Idles, sebbene non indimenticabile in termini di songwriting (da questo punto di vista i nostri non sono mai stati dei mostri di talento, però) denota comunque grande efficacia, soprattutto perché fa vedere che non bisogna per forza andare a mille e distruggere tutto per essere considerati una grande live band.

 

È comunque ovvio che quei pezzi che hanno fin qui contribuito a costruire la loro solida reputazione ci siano (più o meno) tutti: “I’m Scum”, che ormai funzione come manifesto identitario, “Benzocaine”, durante la quale Mike Bowen e Jon Kiernan vanno a suonare in mezzo al pubblico provocando attorno a loro un enorme circle pit (come abbiano fatto ad uscirne vivi non ne ho idea), la mazzata sulle gengive di “Divide & Conquer” (“Una canzone antifascista”, a ricordare una natura politica che non hanno mai perso, anche se negli ultimi dischi hanno affrontato molto di più tematiche personali), e ovviamente l’immancabile “Danny Nedelko”, ad oggi il brano di maggiore impatto del loro repertorio, quello che, ne siamo certi, rimarrà nella storia musicale di questi anni recenti indipendentemente dalle sorti future dei loro autori.

Grandioso anthem dallo spirito Punk, il brano dedicato al frontman degli Heavy Lungs, grande amico della band ed immigrato di origini ucraine, è ancora oggi, a quattro anni dalla sua pubblicazione, uno dei giudizi più centrati e intelligenti che si possano dare sul tema dell’immigrazione: “Fear leads to panic, panic leads to pain, pain leads to anger, anger leads to hate”; una dinamica tanto più attuale in questi ultimi tempi, purtroppo, e se certo non basterà la musica a farci uscire da questo loop autodistruttivo, è comunque importante che, tra chi fa musica, ci sia chi è in possesso di un certo tipo di visione delle cose. Allo stesso modo, il grido “Viva Palestina!” lanciato da Talbot prima della conclusiva “Rottweiler” (altra mazzata furibonda, peraltro) certo non cambierà nulla ma, giunti a questo punto, che quello che sta succedendo venga ovunque ed in ogni circostanza ricordato, risulta assolutamente sacrosanto.

 

Sembra che stia arrivando una tempesta (per fortuna poi verremo risparmiati) e allora i saluti sono brevi: “You’ve been great, we’ve been Idles”, formula di congedo ormai divenuta classica, e poi tutti a casa. Novanta minuti di altissimo livello, per una band che dal vivo continua a non sbagliare un colpo e che ha davanti a sé un futuro di sicura grandezza.