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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
17/04/2020
Paolo Benvegnù / Nicholas Ciuferri
I Racconti delle Nebbie: il suono e il racconto, nella nebbia la luce
Questo libro, questo disco, questo pellegrinaggio dentro la nebbia che ognuno ha nel cuore, somiglia tutto ad un racconto che si trascina fin dentro una distesa di cemento urbanizzato, quantunque attorno regni la natura incontaminata o qualsiasi tipo di caos organizzato.

“Le nebbie è uno stato dell'anima, rappresenta l'incertezza in cui ci muoviamo tutti quanti perché, per quanto possiamo dirci determinati e lucidi, alla fine siamo tutti su questo granello di una galassia periferica…” (N. Ciuferri)

Camminare nella nebbia significa anche scoprire il futuro, quel poco che arriva davanti al passo che abbiamo, ad ogni istante che il passo si muove. Lento il movimento procede a svelare le cose, relegando il presente ad un giaciglio di fumo sulla superficie grezza dei nostri vestiti. E così diviene passato nel medesimo istante di tempo. E si scolla dalle spalle e dai vestiti, torna fumo e poi nulla più. Camminare nella nebbia somiglia ad un suono ovattato che ha i contorni dipinti di un blu polvere e che puoi appena toccarli, appena si lasciano vedere, appena si lasciano codificare. Sospesi restano, come fluttuanti fantasmi, come coscienza che si sveglia, mai come consapevolezza che sa misurare.

Questo libro, questo disco, questo pellegrinaggio dentro la nebbia che ognuno ha nel cuore, somiglia tutto ad un racconto che si trascina fin dentro una distesa di cemento urbanizzato, quantunque attorno regni la natura incontaminata o qualsiasi tipo di caos organizzato. “I Racconti delle Nebbie” è un incontro scontro tra l’istinto e la necessità, tra l’espressione e la bellezza del tempo. Nicholas Ciuferri e Paolo Benvegnù si incontrano, “si danno le spalle” e camminano verso. Il primo è il narratore, post-atomico, figlio del punk ma anche discepolo “pop” nella misura della quotidianità, spesso cittadina, spesso borderline… Ciuferri nei suoi racconti ama cambiare il punto di vista alle cose e alle persone, al tempo stesso cambia l’urgenza e il tempo stesso frena e non si accalca, diviene tutto ma con estrema calma. Eppure alla fine di ogni lettura i suoi racconti hanno lasciato fame di averne.

Paolo Benvegnù lo conosciamo, così come conosciamo il suo suono che qui, in un precario equilibrio tra acustica ed elettronica, accoglie e protegge la narrazione con un certo gusto per il distopico che merita e che fa da corona. Non è la narrazione il protagonista. Non è il suono il protagonista. E l’incontro dei due che, dalla fusione, genera un unicum che si ascolta e si legge, si determina procedendo poco alla volta, e non per svelare il futuro ma per superare il passato.

Nell’edizione di People Records i racconti sono 20 anziché i 9 canonici della prima edizione. E ritroviamo le tavole di Alessio Avallone, che ha spesso accompagnato i due dal vivo disegnando (dal vivo) le visioni che il duo costruiva (nella nebbia). E il suo tratto è distopico a suo modo, mi richiama quel senso notturno di solipsismo e decadentismo.

In questa edizione, in copertina a questa edizione, Ciuferri e Benvegnù, dicevamo, sono di spalle… ma si appoggiano (forse) schiena a schiena come a trovarsi senza vedersi. Perché accade questo dentro la nebbia, le cose appaiono senza averle vedute.

Camminare dentro la nebbia allora significa anche (re)esistere, significa rinnovare l’esistenza: ogni cosa non si vede né si preannuncia. Ogni cosa la si può soltanto incontrare. Passo dopo passo… con il giusto tempo, lasciando alla nebbia il privilegio di cambiarne la forma.

Io inizierei proprio da questa parola. Nebbia. Un’immagine secondo me per niente casuale, non è un ornamento stilistico. Racconti che arrivano dalle nebbie… cosa rappresenta per te, per voi, la nebbia?

Paolo voleva chiamare il progetto “I racconti dell'automobile", io “Viaggio nella nebbia", è uscito fuori un compromesso spontaneo e secondo me, bellissimo. Le nebbie, la nebbia è uno stato dell'anima, rappresenta l'incertezza in cui ci muoviamo tutti quanti perché, per quanto possiamo dirci determinati e lucidi, alla fine siamo tutti su questo granello di una galassia periferica e non sappiamo molto di alcunché in maniera assoluta, abbiamo solo idee su scala relativa.

"Pianeta" significa "errante", e ci siamo tutti sopra.

Poi le nebbie sono anche dell'anima, delle emozioni, la nebbia è indefinita, nasconde ma custodisce, c'è un che di amorevole e protettivo

Che poi di primo acchito verrebbe da pensare a racconti di resistenza e di rivoluzione. Eppure, perlomeno alla mia lettura, sono giunti come racconti di una fredda coerenza quotidiana. Racconti anche ricchi di un certo “male di vivere”. Non è così?

Hanno sicuramente una doppia anima: la resistenza e la rivoluzione non sono anche atti quotidiani?

La contemporaneità in cui viviamo è caratterizzata dal "male di vivere", abbiamo ucciso le nostre divinità e i nostri padri, forse abbiamo perso forza e direzione, però abbiamo conquistato la consapevolezza che dovrebbe spingerci verso una società migliore, un aiuto reciproco, l'empatia e la vicinanza come condizione necessaria.

Sapere cosa non va è il primo passo verso l'azione (è un concetto forse abusato ma vero), i miei personaggi sono generalmente nella quotidianità ed in loro c'è o la rassegnazione inquieta o la rabbia, quasi mai indifferenza.

Parliamo dei suoni che Paolo Benvegnù ha scritto e composto per accompagnare queste letture, questi racconti. Sono suoni di nebbia, hanno fumo e vapore dentro. Uno scenario decisamente noir. Quanto la narrazione è stata contaminata dal suono e quanto il viceversa?

Paolo è un poeta incredibile ma anche un musicista eccellente. Il disco vede Paolo suonare tutto (anche Nicola Cappelletti ha suonato in diverse tracce), all'inizio erano dei provini, delle guide, poi è stato deciso di lasciare tutto così perché c'è una forza enorme nelle musiche di Paolo e per noi era importante registrare il punto di partenza, che era vicinissimo al live. Con tutti i distinguo potremmo dire che è quasi un live record con pochissime sovraincisioni e una post-produzione ridotta al minimo. Una rivista ci ha definiti come i Black Mirror italiani, mi ha colpito molto l'accostamento (oltre ad essere un gran complimento, penso...).

C'è un brano, si chiama "Se solo potessi", è associato a "La schiena", l'ho scritto ascoltando la canzone; nel live tutti i brani sono associati a dei brani di Paolo e così sarà nel disco che registreremo in estate (con canzoni scritte ad hoc), che avrà un'alternanza di narrazione e canzoni più forte.

In altre parole ho trovato che il suono di Paolo descriva i tuoi racconti. In definitiva ho sentito quasi ovunque durante la lettura e l’ascolto questa interazione unidirezionale cioè il suono in funzione della narrativa. Non so se è così ma di sicuro in questo modo mi è giunto. E vorrei sapere cosa ne pensi… ma in generale, hai mai provato a raccontare tu il suono di Paolo? Cioè hai mai pensato di scrivere una racconto che somigliasse al suono della chitarra?

Hai ragione, di solito sono io che mando i racconti o Paolo li sceglie da un insieme e le atmosfere arrivano dalla sua creatività musicale. Come dicevo sopra, ci sono alcuni episodi che nascono proprio per arrivare alle sue canzoni o che partono dalle sue canzoni.

Che poi, nel dirti un’altra sensazione che ho provato, questi racconti spaziano nel colore, nella forma, nei contenuti e soprattutto nella luce che portano dentro. Il suono invece ha avuto più la tendenza a divenire una coperta unica che coccolasse, accogliesse e proteggesse ogni lirica, come ti dicevo sopra. Uno stile “unico” per tanti racconti diversi. Ovviamente ho fatto una sintesi violenta, sono volute e doverose le virgolette… cosa ne pensi?

Probabilmente c'è una pasta sonora che accomuna delle sonorizzazioni ed è molto bello il senso di protezione che hai colto, credo sia così. Devo però ribadire che il disco è un punto di partenza, nei live in duo le musiche sono completamente differenti, non ci sono più le basi elettroniche, si crea una potenza intima bellissima, mentre invece nella forma del quartetto in cui ci siamo tramutati (con Riccardo Tesio, Marlene Kuntz, alla chitarra e Nicola Cappelletti al violino, basso ed elettronica) abbiamo avuto una vera e propria rivoluzione, credo che il prossimo disco segnerà il passo.

Nell’immagine di copertina, il disegno vi vede di spalle. Così ho pensato ad una cosa: quanto il connubio tra suono e narrazione è stato improvvisato? Quanto e dove invece è stato misurato?

Nella prima edizione del disco, dove la copertina era stata disegnata da Alessio Avallone, io e Paolo ci venivamo incontro invece. Non saprei dire quanto Paolo abbia studiato a tavolino e quanto invece abbia progettato, credo che sia stata un'occasione per lui per sperimentare una direzione nuova (non dimentichiamoci che Paolo è anche un produttore e un arrangiatore).

Anzi resterei proprio su questo argomento. Perché ho trovato tanti punti di connessione nei diversi racconti. Molti forse inesistenti, forse solo guidati dalla mia fantasia. O forse che siano reali, che sia stato un target narrativo?

Non ci avevo mai pensato, probabilmente ci sono dei temi ricorrenti, ma questi racconti sono stati scritti in un arco di tempo molto ampio credo di averne almeno duecento... le scelte sulla selezione sono state fatte prevalentemente sulla fattibilità (c'è un provino di "mela verde", dura circa 30 minuti... sarebbe stato impossibile metterlo sul disco), altri sono stati scartati, paradossalmente "nebbia", ma non perché non ci piacesse, ad un certo punto semplicemente è finito fuori dalla scaletta e poi non è stato messo sul disco. Una fan mi ha scritto perché le era piaciuto il racconto (che è presente nella seconda edizione edita da People-Black Candy), chiedendomi se l'avremmo mai registrata...  se avessi avuto la registrazione glie la avrei mandata (ma ha tutto Paolo giustamente), magari un giorno la reincideremo. Sai, i nostri primi live duravano più di due ore e mezza perché raccontavamo e suonavamo molto di più, il pubblico usciva sconvolto, era troppo, troppe emozioni, troppi contenuti ed anche noi eravamo stravolti, un viaggio troppo lungo tutto insieme, servono delle tappe. Però devo dire che avere un pubblico attento per due ore e mezza ed oltre è una bella soddisfazione, non facciamo uno spettacolo facile, sono molto orgoglioso delle persone che vengono ai nostri spettacoli.

A chiudere. Quanta evoluzione lasciate incorrere dentro questo progetto? Parlo del suono, parlo del modo di leggere i racconti, parlo dei tempi con cui incastrare le due dimensioni espressive. Parlo di nuove scritture…

Ti dicevo prima dei nuovi innesti (due pezzi da novanta) e dei cambiamenti che ci saranno... un appunto, non leggo, quasi mai, il leggio e il raccoglitore li ho per sicurezza, per seguire alcuni appuntamenti... in realtà improvviso, taglio, aggiungo moltissimo (creando quel sottile panico negli altri sul palco suppongo). Il prossimo disco lo registreremo in estate, sempre per Black Candy, i brani nuovi che già stiamo presentando hanno un grande impatto, ci saranno alcune parti più vicine alla forma canzone, ci saranno delle canzoni, ci sarà forse del post-rock, ci sarà sperimentazione, ci saranno pochi limiti e penso anche poche etichette.


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