“Se l’attira l’idea di un’altra cena ‘quando volano le falene’, venga stasera dopo il lavoro. Qualsiasi ora andrà bene.”
I Ponti di Madison County è noto ai più come il titolo del film diretto e interpretato da Clint Eastwood, insieme a una straordinaria Meryl Streep. La pellicola, in realtà, è tratta dall’omonimo romanzo di Robert James Waller (Charles City, 1939 – Fredericksburg, 2017), best- seller nel 1992, con oltre 50 milioni di copie vendute. Le mie aspettative, pertanto, erano piuttosto alte, peccato che siano rimaste disattese.
Inutile girarci attorno, non ci troviamo al cospetto di una lettura imprescindibile. Mi pesa scriverlo qui, nero su bianco, perché io appartengo convintamente alla corrente de “il libro è sempre meglio del film”, ma se volete un consiglio spassionato, almeno per questa volta lasciate perdete e (ri)guardatevi il film, perché quello sì che merita!
La trama è indubbiamente intrigante, romantica e disperata al punto giusto. Non ho apprezzato, però, lo stile narrativo. Indubbiamente ci sono frasi a effetto, io stessa ne ho sottolineate diverse, e paragrafi che emozionano, perché se si è sensibili, è difficile rimanere indifferenti, ma nel complesso, il film vince a mani basse, perché è più ruvido, ha più carattere ed è “ripulito” da quelle note dolciastre che in alcuni momenti risuonano come eccessive.
La resa cinematografica conferisce a tutta la storia, probabilmente anche grazie all’interpretazione di due attori eccezionali, uno spessore che nel libro, purtroppo, non sono riuscita a ritrovare. La mia sensazione, nei confronti di questo libro, è stata ambivalente e altalenante, perché in più momenti mi è sembrato di avere tra le mani uno di quei romanzetti rosa della collana Harmony tanto in voga negli anni ’80, che peraltro conosco solo per sentito dire, visto che non ho mai avuto il piacere di leggerne uno, ma il tenore doveva essere molto simile.
In ogni caso, vista la bellezza del film, è evidente che il buon vecchio Clint è riuscito a vedere oltre e a portare un romanzo rosa di livello medio, su un piano diverso, decisamente più alto.
Carolyn e Michael Johnson, dopo la morte di Francesca, la loro madre, grazie a una lunga lettera che lei gli ha lasciato, vengono a sapere che molti anni prima aveva avuto una relazione sentimentale con un altro uomo, lo scrittore-fotografo Robert Kinkaid.
Una relazione durata una manciata di giorni, ma così piena, da aver condizionato e nutrito tutto il resto della sua vita (e anche quella d Robert). I due fratelli, colpiti da ciò che hanno appena scoperto, contattano uno scrittore perché desiderano che quell’amore segreto, così speciale, veda finalmente la luce. Sentono di doverlo alla loro madre, come ultimo gesto d’affetto e riconoscenza nei suoi confronti. Lo scrittore, dopo aver visionato ciò che Francesca aveva gelosamente custodito nel corso di tutti quegli anni, i suoi diari, le poche lettere, i ritagli di giornale e le foto, accetta di scrivere la storia. Una storia d’amore e sacrificio. Perché Francesca, per il senso di dovere e responsabilità verso la sua famiglia, ha sacrificato sé stessa e il suo amore per Robert.
Nell’estate del 1965, quasi 25 anni prima, Robert Kinkaid era stato ingaggiato dal National Geographic per fotografare i sette ponti coperti che si trovavano nella contea di Madison. Dopo un viaggio lunghissimo, raggiunge Madison County a bordo del suo furgone, che lui chiama Harry. Riesce a individuare senza alcuna difficoltà sei dei sette ponti, ma non riesce a trovare l’ultimo, il Roseman Bridge, così, si ferma in una fattoria per chiedere indicazioni, ed è qui che incontra per la prima volta Francesca.
Lei gli va in contro a pedi nudi, con indosso un paio di jeans e una camicia blu sbiadita. “Francesca lasciò la veranda e senza fretta si incamminò nell’erba, diretta al cancello. E dal furgone scese Robert Kincaid, simile a una visione tratta da un libro mai scritto e intitolato Storia illustrata degli sciamani […] I suoi occhi la scrutavano attenti, e Francesca sentì qualcosa che le si agitava dentro.”
Gli fornisce le indicazioni che cerca e, sorprendendosi di tanta intraprendenza, si offre anche di accompagnarlo. Terminato il giro di ricognizione presso il ponte, dove Robert ritornerà la mattina successiva per i suoi scatti, riaccompagna Francesca a casa e lei lo invita a entrare per bere insieme una bibita fresca. Ed è così che tutto ha inizio, anche grazie al fatto che quella settimana Francesca è a casa da sola. La sua famiglia, infatti, si trova all'Illinois State Fair, il festival annuale dell’agricoltura.
Francesca non è una donna infelice, ma rassegnata. Ama la sua famiglia. Non le manca nulla da un punto di vista materiale, vive una relazione di coppia stabile e consolidata, anche se ormai priva di quelle scintille che fanno battere il cuore, e nonostante voglia bene a suo marito, è consapevole di essere molto diversa da lui. Sa bene che il contesto sociale in cui vive non è quello più idoneo al suo temperamento. Quello non è il suo mondo, non è la sua dimensione ideale. La sua passione, la sua esuberanza, il suo cuore caldo, le sue ambizioni e i suoi sogni sembrano svaniti, risucchiati da una vita troppo normale, senza stimoli e fatta di apparenze a cui è necessario sottostare. Quel fuoco che un tempo le bruciava dentro si è trasformato in tiepida cenere.
Robert, così libero, colto, intelligente, affascinante e fuori dal comune, la rimette in contatto con un lato di sé che credeva fosse perso per sempre. È un piacere parlare con lui di arte, cultura, della vita e dell’immensità del mondo che si srotola lontano dalla polvere di Madison County. Scopre di saper essere ancora intrigante e di avere sensualità, erotismo e bellezza da donare a un uomo.
La storia narrata da I ponti di Madison County copre i quattro giorni che Robert Kinkaid e Francesca Johnson trascorrono insieme. La loro sarà una relazione breve ma intensa. Quattro giorni che sembrano infiniti, durante i quali Francesca e Robert si mescolano tra loro fino a diventare una cosa sola. Si raccontano le loro vite e le loro esperienze senza censure, si giurano amore eterno e fantasticano sul loro futuro insieme.
Sono entrambi consapevoli di essersi trovati, di essere fatti l’uno per l’altra, e di aver dato vita a una loro dimensione, a un loro“noi”, ma il senso del dovere di Francesca vince su tutto e, seppur a malincuore, schiacciata da un dolore immenso, quando Robert le proporrà di lasciare la sua vita per iniziarne una nuova insieme a lui, decide di sacrificare il suo amore e la sua felicità per la sua famiglia.
Ma quell’amore durerà per sempre, perché a volte è proprio l’impossibilità a rendere i sentimenti eterni, in un gioco di alternanza tra speranza, desiderio, sconforto e rassegnazione. Quell’amore, vero e proprio nutrimento, verrà celebrato e ricordato giorno dopo giorno, anno dopo anno, fino alla fine. “Quel martedì sera dell’agosto 1965, Robert Kincaid guardava fisso Francesca Johnson. Lei ricambiava il suo sguardo. A tre metri di distanza erano uniti l’uno all’altra, saldamente, intimamente, inesorabilmente.”
Arrivati a questo punto, decidete voi se immergervi o meno nella lettura di questo libro, però vorrei lasciarvi ponendovi un quesito: gli amori impossibili esistono davvero? O siamo noi, con le nostre paure e i nostri sensi di colpa, a renderli tali?